Scappò dal reparto dell’ospedale Sant’Eugenio in piena notte indossando solo il pigiama. Ubalda Monnati, 79 anni, venne ritrovata cadavere una settimana dopo in un luogo distante qualche chilometro dal nosocomio in zona Eur.

E ora, dopo sei anni dalla vicenda, la Asl Roma 2, insieme alla società di vigilanza privata incaricata della sicurezza Italpol, sono state condannate in primo grado a pagare agli eredi un maxi risarcimento della cifra di un milione e trecentomila euro.

La vicenda

I fatti risalgono al 13 agosto del 2015. A mezzanotte e 38 minuti la telecamera situata all’ingresso principale del Sant’Eugenio in via dell’Umanesimo riprese l’anziana, ricoverata dall’11 agosto, mentre si allontanava passando davanti al gabbiotto dei vigilantes.

Nessuno tentò di fermarla e il personale sanitario si rese conto della sua assenza in ritardo: la vigilanza venne allertata solo dopo due ore, mentre la polizia alle 3:40. Una settimana dopo, il 20 agosto, il corpo di Ubalda Monnati fu rinvenuto in un campo alla Cecchignola.

La sentenza 

Per il Tribunale civile di Roma si sarebbe configurato il reato di “violazione degli obblighi di custodia a protezione da parte dei convenuti in ambito ospedaliero” che riguarda anche “gli obblighi accessori del nosocomio violativi dell’affidamento della donna al personale a fini protettivi strumentali alle cure”.

Stando a quanto riportato da Il Messaggero, il giudice fa riferimento al ‘contratto di spedalità’ tra ospedale e paziente. Infatti la norma prevede l’obbligo di sorvegliare il paziente in modo ‘adeguato’, per evitare che possa causare danni a terzi o subirli. Il personale sanitario avrebbe dovuto assicurare alla donna, anziana e dunque fragile, sotto effetto anche di un leggero sedativo, un’attenzione costante oltre, ovviamente, alle cure mediche per tutto il periodo del ricovero.

Gli avvocati della famiglia di Ubalda Monnati hanno definito questa sentenza ‘storica’ e un ‘punto di svolta per casi simili’: viene infatti riconosciuto “il dovere contrattuale dei medici e di una struttura sanitaria di vegliare sui loro pazienti in condizione di fragilità”. 

Il caso Giovanni Manna

Una vicenda simile a quella di Ubalda Monnati ha coinvolto qualche settimana fa un altro nosocomio di Roma, il Policlinico Gemelli. Giovanni Manna, 73enne malato di Alzheimer, è infatti stato ritrovato morto nel parco dell’Insugherata lo scorso 20 novembre, quattro giorni dopo essersi allontanato dal pronto soccorso, stanco per l’attesa.

I figli, che avevano lanciato un appello dopo la sua scomparsa, hanno puntato il dito contro l’ospedale: la struttura sanitaria non li aveva avvisati della fuga del padre, né aveva contribuito alle sue ricerche. La cartella di pronto soccorso, sequestrata dagli inquirenti, confermerebbe quanto denunciato dai familiari di Manna. Intanto proseguono le indagini per accertare le responsabilità sull’accaduto.

Roberta Davi

Autore