Il giorno del funerale
Trump è arrivato a Roma, tutti vogliono parlare con lui. E Ursula teme il grande sgarbo

Nell’abbraccio ecumenico del colonnato del Bernini, oggi l’Europa dev’essere protagonista. No, non si sta parlando della cerimonia funebre, bensì della complessa trama di rapidi saluti e occhiate d’intesa che i leader del mondo dovranno scambiarsi da lontano. Il rigido protocollo della Santa Sede imporrà a ciascun capo delegazione di sedersi dove è previsto, e lì stare. Ben vengano poi gli incontri bilaterali non ufficiali che potrebbero crearsi prima o dopo la cerimonia. Questo giornale va in stampa con nulla di confermato o ufficiale. Comprensibile. Tra gli strumenti della diplomazia c’è anche la dissimulazione. È ben più problematico gestire un summit saltato piuttosto che uno fuori programma. Tuttavia, se l’Europa, rappresentata così massicciamente da delegazioni comunitarie e governative, non riuscisse a cogliere l’occasione di questo evento – unico per la cristianità, ma non solo – offrirebbe il fianco ai suoi detrattori e metterebbe in evidenza tutta la sua debolezza di fronte alla comunità internazionale.
L’incontro con una delegazione
Dev’esserne consapevole Ursula von der Leyen, atterrata a Roma ieri sera, insieme ai presidenti del Parlamento Ue, Roberta Metsola, e del Consiglio europeo, António Costa. La numero uno della Commissione ha un solo ordine di servizio: raggiungere il più vicino possibile il presidente Trump. L’incontro non è in agenda, come è stato detto dai portavoce di entrambi. Il tycoon, peraltro, è arrivato in tarda serata di ieri e ripartirà non oltre le 13 di oggi. Ma chi ha detto che a incontrarsi devono essere per forza loro due? Entrambe le delegazioni sono composte da un numero sufficiente di consiglieri e assistenti, per cui basta che un dialogo tra le seconde linee vada a buon fine affinché venga ufficializzato. Dazi e Ucraina: l’Ue deve portare a casa una reazione di Washington in suo favore. Un segno di apertura, a dimostrazione che, nel terreno arato da Giorgia Meloni, von der Leyen ha dei semi da spargere. Un gioco di squadra Bruxelles-Roma anche a obiezione delle critiche al governo italiano di giocare da solo.
Parigi e Londra rischiano di cadere nella stessa accusa
Certo, la presenza di tanti altri leader europei non esclude che la delegazione Usa possa essere approcciata di sponda. Macron e Starmer – il principe William non basta in questi casi – sono lì apposta per dimostrare che Francia e Regno Unito restano due potenze con cui Washington deve confrontarsi peer to peer. Attenzione all’hybris, però. Parigi e Londra rischiano di cadere nella stessa accusa rivolta a Palazzo Chigi di fare “il veneziano”. Forse per questo ieri l’Eliseo ha precisato che il presidente francese non ha in programma alcun incontro. Meno chance di negoziazione hanno gli altri governi Ue. Berlino ha scelto di essere rappresentata dal presidente Steinmeier e dal cancelliere Scholz, per quanto il 6 maggio quest’ultimo sarà sostituito da Merz, assente oggi. Dalla Spagna è arrivato re Felipe VI, cattolicissimo, ma non il premier Sánchez, ateissimo. Un’assenza alla Nanni Moretti style che solleva perplessità sulle ambizioni di Madrid di essere più influente nelle questioni Ue.
Zelensky dovrà tentare di parlare di nuovo con Trump
Un’opzione “one shot” è anche quella di Zelensky. La sua presenza sarà confermata solo all’ultimo minuto. L’intensificarsi dei raid russi su Kyiv impone al presidente ucraino una scelta: diplomazia o resistenza? La prima è certo un’occasione d’oro. Zelensky dovrà tentare di parlare di nuovo con Trump (che non esclude il faccia a faccia: “È possibile”). Mai successo dal disastroso appuntamento dello Studio Ovale. E soprattutto dopo che l’inviato Usa Witkoff si è visto con Putin. Certo, con Biden – presente anche lui alla cerimonia – le cose sarebbero tutte più facili. Ma la presenza del leader ucraino è in dubbio a causa di importanti “incontri militari” che dovrà tenere.
L’agenda di Trump
Il problema però non è dell’Europa o dell’Ucraina. O di qualunque altra delegazione presente oggi a San Pietro. Autorità palestinese, Cina, Iran, ma anche Taiwan, Giordania e Turchia. Solo per citarne alcune in questo momento coinvolte nelle più aspre crisi internazionali. Il problema è se Trump vorrà vedere davvero qualcuno. Prima di imbarcarsi sull’Air Force One, ieri pomeriggio, Potus ha detto di avere in agenda alcuni colloqui bilaterali, tra cui uno con la nostra premier. Non è dato sapere altri dettagli. Certo è che, nell’imprevedibilità del personaggio, se nella sua prima missione all’estero, il presidente degli Stati Uniti decidesse di non incontrare la presidente dell’Unione europea, saremmo di fronte a un grave sgarbo tra due alleati storici.
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