L'incognita Europa
“Trump addio, ecco le sfide di Biden”, parla il professor Marcello Flores
L’America di Biden, le sfide dei primi 100 giorni del neo presidente USA, e il convitato di pietra che lascia la Casa Bianca ma non la scena politica: Donald Trump. Il Riformista ne discute uno dei più autorevoli storici italiani: Marcello Flores. Il professor Flores ha insegnato Storia comparata e Storia dei diritti umani nell’Università di Siena, dove ha diretto anche il Master europeo in Human Rights and Genocide Studies.
Professor Flores, il messaggio-slogan scelto da Joe Biden per l’Inauguration day è “United America”. L’esatto opposto dell’”America first” del suo predecessore.
Innanzitutto mi sembra che questo slogan di Biden suggerisca che la sua prima preoccupazione, e forse anche la più importante, riguarda la politica interna, il come riuscire a superare non solo quella divisione che in fondo c’è sempre stata nella storia americana, ma una divisione che si era accentuata nei termini così radicali durante gli anni della presidenza Trump; una divisione sfociata, come atto estremo, nell’assalto al Congresso condotto dai seguaci di Trump per impedire che la democrazia potesse fare il suo corso. C’è poi un altro aspetto che non è presente in quello slogan ma che credo che sia per Biden importante…
A cosa si riferisce?
Al rapporto con l’Europa. La necessità, cioè, di ricostruire un rapporto che significhi anche azione comune nei confronti da una parte della Cina e dall’altra della Russia. Ed è indicativo in tal senso che una delle prime decisioni assunte dal neo presidente è il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi sul clima.
Dallo stop alla realizzazione del muro anti-migranti al confine con il Messico, al rientro degli Usa nell’Oms. Dal ritorno nell’Accordo di Parigi sul clima, alla revoca del “muslim ban”. Sono questi alcuni degli ordini esecutivi che, come ha annunciato il suo staff, Biden firmerà subito dopo la cerimonia di insediamento.
Queste sono scelte che vogliono dimostrare immediatamente che gli anni della presidenza Trump hanno rappresentato una parentesi. Una terribile parentesi che gli Stati Uniti debbono lasciarsi alle spalle al più presto. E quindi ritornare in quell’alveo che invece è rappresentato delle suddette misure. Misure con le quali gli Usa tornano a riproporsi come guida, se non altro politico-morale, del mondo intero, e non come alimentatori di contrapposizioni. Queste misure sono anch’esse in gran parte legate ad una dimensione nazionale o se si preferisce continentale. Quello che ancora non è chiaro è, ad esempio, come saranno i rapporti della nuova amministrazione Usa con l’Europa; certamente possono andare in una direzione condivisa sul clima, ma su altre questioni, soprattutto quelle economiche e commerciali, i rapporti euroatlantici potrebbero essere maggiormente divergenti. Lì si misurerà la capacità di Biden di riuscire a tenere unita l’America, recuperando alcune dimensioni nazionaliste, quelle moderate però, e nello stesso tempo muoversi in una dimensione di globalizzazione democratica che non può non essere portata avanti in partnership con l’Europa che di questa globalizzazione democratica è il polo in qualche modo più significativo.
Ma per unire l’America, il neo presidente dem dovrà fare i conti con Trump e i suoi agguerriti sostenitori. Cosa c’è da attendersi da quell’America suprematista che continua a ritenersi defraudata della vittoria?
È un interrogativo di non facile soluzione. Perché certamente quel mondo esisteva anche prima di Trump, ma gli anni della sua presidenza lo hanno fatto crescere, concedendogli anche una serie di poteri locali. Immaginare quanto potrà diventare, o restare, solida questa realtà, è un po’ più complicato. In parte dipenderà dal successo della sfida di Biden, in parte dal fatto se Trump riuscirà nella sua volontà di crearsi una propria rete televisiva, di continuare ad agire indipendentemente dalle difficoltà legali, economiche e finanziarie che sicuramente avrà e che potrebbero impedirgli di fatto di svolgere alcun ruolo pubblico. D’altra parte, è difficile chiedere a uno storico di fare una previsione sul futuro.
© Riproduzione riservata