Trump bannato dai social, giusto o no? Rispondono gli esperti

Gli eventi di Capitol Hill hanno attirato gli occhi del mondo intero sull’invasione dei sostenitori di Trump nel centro della democrazia statunitense. Il tutto grazie all’attenzione riservata dai media e dagli internauti. Mai come mai, i social si sono scatenati sia a favore che contro la scelta dei Big Tech, Facebook e Twitter, di applicare restrizioni ai profili social dell’attuale presidente degli USA Donald Trump. Una decisione che ha dapprima dato grande soddisfazione ai detrattori del linguaggio comunicativo del presidente sconfitto, ma ancora in carica fino al 20 gennaio, per poi aprire una riflessione sull’essenza di questo provvedimento e se sia pertinente con i principi della più grande democrazia al mondo.

Una scelta che dovrebbe essere inquadrata nel contesto degli ultimi mesi” dichiara al Riformista Livio Varriale, data journalist che da anni sensibilizza l’opinione pubblica sullo strapotere sempre più crescente della tecnocrazia americana nel mondo. “Trump ha avuto sempre una comunicazione aggressiva che gli è costata l’antipatia istantanea di Twitter, impegnata in prima linea in una battaglia più politica, che di merito, molto vicina ai Dem”. E Facebook? “Mark Zuckerberg ha giocato di fino, invece, perché ha prima resistito alle pressioni dei suoi dipendenti ed al un calo pubblicitario nei mesi di campagna elettorale perché i suoi grandi investitori pubblicitari non volevano figurare su una piattaforma dove Trump avesse visibilità. Il titolare di Facebook – continua Varriale – ha compensato le perdite con il massiccio investimento pubblicitario elettorale dei Repubblicani, per poi finalmente dare il benservito a Trump. La stessa Facebook si trova in crisi di identità per via di voci, sempre più frequenti, che vorrebbero lottizzarla politicamente, proprio come avviene per la Rai in Italia, ed è inoltre sotto pressione per delle cause intentate dal Governo nei suoi confronti”.

E’ stata giusta la scelta di escludere Trump dai social network? Secondo Stefano Epifani, presidente del Digital Transformation Institute, bisogna affrontare il discorso analizzando gli aspetti “di metodo e di merito. Nel merito potrebbe essere facile dare ragione a Zuckerberg, anche in funzione del fatto che l’incitamento alla rivolta non è qualcosa che è avvenuto esplicitamente, in un singolo messaggio (che sarebbe stato censurabile), ma ha riguardato in qualche modo un messaggio trasversale inviato nelle ultime settimane. È facile dare ragione a Facebook ed è facile prendersela con Trump, semplicemente perché in questo momento Trump è “il cattivo”. O almeno, lo è nella rappresentazione di quelli che si ritengono buoni, ma il problema resta soprattutto di metodo. Il punto è capire se un’azienda, in virtù del fatto che ha fatto firmare un accordo di servizio, possa esercitare delle scelte in linea con questo accordo anche se è un’azienda che influenza le decisioni di miliardi di persone. Non basta dire che Facebook è un privato e di conseguenza all’interno della sua piattaforma il suo proprietario può fare quello che vuole. Perché se questo privato influenza le decisioni di miliardi di persone il suo comportamento va regolamentato e d’altro canto questo punto è proprio quello che sostiene Trump quando chiede che venga rivista la famosa sezione 230, secondo la quale i social network sono equiparati a operatori di rete e non ad editori. Zuckerberg in questo caso si è comportato da editore e come tale, seppur molto particolare, dovrebbe sottostare a regole che sono ancora da disegnare e che riguardano le modalità con le quali la piattaforma può moderare meno i contenuti prodotti dai suoi utenti, a maggior ragione quando è coinvolto il presidente degli Stati Uniti d’America, ma è altrettanto importante per tutti coloro che quotidianamente e non hanno la visibilità per dare voce alla censura che avviene ai propri contenuti. Questo fa porre un interrogativo anche sul controllo della rete. Con il Digital Transformation Institute abbiamo proposto un manifesto contro le fake news che può essere facilmente declinato anche in questo contesto. La strada è tutta da disegnare, ma mai dovrà passare per meccanismi censori, in funzione del fatto che sono convinto del fatto che sia infinitamente maggiore il danno che si può fare oscurando un contenuto che non dovrebbe essere oscurato rispetto a quello che si evita oscurando giustamente un contenuto censurabile”.

Facebook e Twitter hanno legittimamente limitato la presenza di Trump dai social” afferma Tommaso Ederoclite, esperto di politiche per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. “I social network sono società private che hanno delle loro policy e Trump le ha violate, più di una volta da ricevere già in passato diversi provvedimenti per incitamento all’odio, secondo anche quanto è stato riconosciuto dai maggiori leader mondiali.” Nonostante la fondatezza delle azioni intraprese dai due giganti del web “c’è bisogno di regolamentare non tanto le policy, ma capire come vengono trattati i nostri dati personali, che amo ricordare essere un bene pubblico di ogni singolo stato, e pretendere maggiore trasparenza unitamente alla consapevolezza che questi non siano uno strumento utile all’orientamento dell’opinione pubblica su tematiche inerenti le decisioni commerciali, e forse anche politiche, della massa”. Secondo Ederoclite il mondo dei social “non sarà per sempre cristallizzato sull’attuale composizione dove gli USA detengono il primato di mercato nel mondo occidentale e paesi con modalità di governo differenti come Cina e Russia nascondono i propri dati al resto del mondo. Questo potrebbe portare alla nascita di nuove realtà nel campo dei social media sul suolo Europeo, che diano maggiore considerazione alla territorialità delle relazioni tra gli utenti, ma i social, conclude l’esperto, non sono né buoni e né cattivi, ma nemmeno neutrali”.