La mattina del 14 luglio accampano su tutti i social, giornali e le tv le immagini terrificanti dell’attentato a Donald Trump, di cui poi si è lungamente discusso nei giorni successivi, ma quasi un attimo dopo, l’immagine che si è materializzata nella mia mente dopo aver visto il volto di Trump insanguinato emergere dal capannello degli agenti della scorta con il pugno alzato in segno di vittoria, fu quella di Silvio Berlusconi che, aggredito al volto con la famosa statuetta , dopo essersi protetto venendo ricondotto in auto, decide di salire sullo sportello e, fuori dal protocollo, mostrarsi col volto insanguinato e tumefatto al grande pubblico, facendosi ritrarre in un’immagine che sarebbe diventata indelebile ed iconica nel racconto della politica italiana.

Un’associazione che è stata automatica nella mia mente ripensando ai concetti studiati negli anni universitari dallo scritto “Oltre il corpo del leader”, della professoressa di Filosofia politica Giuliana Parotto.
Berlusconi e Trump decidono di mettere in mostra il loro volto ferito, il primo per vittimismo e far vedere “Cosa mi hanno fatto”, il secondo per dimostrare al proprio popolo di essere “invincibile”. Entrambi però accomunati da un medesimo animo, ovvero quello di utilizzare il loro corpo come vettore del proprio messaggio politico.

In filosofia politica, si parla di corpo mediale del leader, una dimensione metafisica che va oltre la consistenza umana, quindi caduca, trasformando il leader in un idolo, un feticcio venerato e immanente, indenne al passare del tempo grazie alle forme comunicative mass-mediatiche che consentono, soprattutto poi nell’era digitale, di modellare e cristallizzare l’immagine pubblica del leader politico.
Per due leader che hanno costruito la loro fortuna politica intorno alla propria immagine e al loro corpo, dissociando il corpo politico dal corpo naturale, è essenziale reagire rapidamente alla lesione fisica in un contesto mediatico. Questo permette di ribaltare la narrazione ed evitare che tali immagini danneggino la loro precedente immagine di successo, trasformandole invece in un elemento che rafforza la loro forza mediale.

Nel caso di Berlusconi, in un momento di grande fragilità politica, la scelta di mostrarsi ferito, oltre che reagire all’aggressione subita, ha restituito un’immagine potente di vittima, reagendo al generale accanimento (da lui percepito, e in parte reale) politico, umano e giudiziario. Per Trump, invece, si trattava di trasmettere il coraggio di un condottiero capace di rialzarsi anche dopo il più grave degli affronti, con il pugno alzato in segno di invincibilità e futura vittoria. Non ricordiamo questi episodi come immagini che hanno appannato o indebolito le due figure, ma come momenti di difficoltà dai quali si sono subito rialzati con tenacia, coraggio e impavidità.

Il corpo mediale del leader non può conoscere usura, ma solo piccole sbavature, prontamente cancellate dalla loro reazione. Il corpo è il veicolo del successo politico, e se quei contorni mediali vengono deturpati irrimediabilmente, il corpo politico si riconcilia con quello naturale, in una sorta di rivisitazione del ritratto di Dorian Gray, che, quando decide di squarciare la tela che accumulava tutto ciò che l’immagine esteriore non doveva mostrare di sé, le 2 dimensioni si riuniscono e portano alla morte di entrambe.
Per Berlusconi, il corpo mediale ha vinto, ed è ancora fra noi, oltre la fine di quello naturale. Sarà lo stesso per Trump il sopravvissuto? Le premesse dicono di sì, ma come affermava il poeta, parafrasandolo: ai posteri digitali e del metaverso l’ardua sentenza.

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Nato nel 1995, vivo a Trieste, laureato in Cooperazione internazionale. Consulente per le relazioni pubbliche e istituzionali, ho una tessera di partito in tasca da 11 anni. Faccio incontrare le persone e accadere le cose, vorrei lasciare il mondo meglio di come l'ho trovato. Appassionato di democrazia e istituzioni, di viaggi, musica indie e Spagna