Per farsi un’idea non retorica dello stato della guerra e della pace, è prudente separare due questioni diverse. Una è quella delle truppe di peacekeeping – se, hai visto, mai scoppiasse la tregua – per la quale inglesi e francesi si sono offerti con truppe pronte al combattimento per interporsi tra aggressori russi e difensori ucraini, con il sostegno molto visibile della Nato. Questa prospettiva potrebbe effettivamente portare alla guerra, ma si tratta di speculazioni metafisiche dal momento che manca una reazione russa diversa da quella già nota e che permetta di valutare le vere intenzioni di Mosca. Ciò di cui si è parlato a Parigi fa parte di uno scenario confuso, in cui sembra che il peacekeeping e la guerra russo-ucraina siano indissolubilmente intrecciate, mentre così non è.

Che cosa ha detto finora Vladimir Putin sulle truppe occidentali in Ucraina? È stato sempre fermo e persino noioso, ripetendo: “I soldati della Nato su territorio ucraino per noi sarebbero soldati nemici alla ricerca della nostra sconfitta e noi siamo pronti a distruggerli”. Il più bellicoso sul fronte occidentale è il primo ministro laburista inglese Keir Starmer, seguace del vecchio presidente Teddy Roosevelt (zio di Franklin) che ripeteva: “Parla piano, ma impugnando un nodoso bastone”. Starmer ha dichiarato che “questi sono i tempi che temevamo e per cui ci siamo accuratamente attrezzati”, ma non vuole saperne di rompere con Trump e scoraggia tutti coloro che in Europa drammatizzano il conflitto politico tra le due sponde dell’Atlantico. Per un motivo semplice: allo stato attuale, l’Europa non può neanche sognarselo uno scontro con la Russia senza la protezione dell’ombrello americano. Domani, forse. Oggi no.

Putin si comporta come quei giocatori di poker che si dichiarano serviti con le carte che hanno e non chiedono di cambiarle: l’unica cosa che lo interessa è rientrare trionfalmente nel gioco delle grandi potenze, vedere abolite le sanzioni (la Borsa di Mosca vola e il rublo si rialza) per poter vendere. Vendere a piene mani tutto ciò che la Russia produce di energia e agricoltura, fertilizzanti, e poi chiudere la falla dell’alta tecnologia. Il suo obiettivo non sembra oggi quello di allargarsi sulla Moldavia, le Repubbliche baltiche. Quello verrà dopo ed è sicuro, ma adesso sta approfittando della luna di miele con un Donald Trump che vuole anche lui le stesse cose e con la stessa mentalità: finirla con il culto democratico e delle libertà civili e passare interamente al big business internazionale e a una politica planetaria, dominata dalle grandi potenze che odiano gli aristocratici fannulloni europei, per infliggere a proprio comodo e vantaggio prezzi, tariffe, importazioni ed esportazioni.

Ciò dimostra che Putin oggi non ha voglia di menar le mani ma neppure di cedere un solo millimetro all’Ucraina, senza concedere alcun cessate il fuoco se prima non vengono abolite le sanzioni. Tutto il resto, scambio di prigionieri, divieto di attaccare le centrali, la pace sul Mar Nero (dove non ci sono più navi russe perché affondate), è pura fuffa. Sono spot pubblicitari su cui noi giornalisti ci agitiamo molto perché la pace non è affatto imminente.

La guerra segue il suo corso: i russi vedono aumentare le loro perdite perché gli ucraini hanno ripreso coraggio, ma il presidente russo può gettare nella mischia migliaia di soldati. Ma non ha interesse a scendere a rissa con gli inglesi e si limita a ripetere come un disco rotto che eventuali truppe Nato in Ucraina per fare peacekeeping sarebbero da lui considerate causa di uno stato di guerra con la Nato. Ma lo stato di guerra non conviene neanche ai volenterosi francesi e inglesi, perché per ora – salvo i polacchi – non si vedono altri candidati. E perché si allontani il momento della decisione sul peacekeeping, basta seguitare a tirarla per le lunghe seguendo i capricci di Putin, il quale – come Penelope – di giorno tesse e di notte disfa la tela.

Il presidente russo ha ripetuto nei suoi discorsi che al tavolo delle trattative il suo Paese siederà soltanto se prima vengono ritirate le sanzioni. E quanto agli ucraini, devono prima ammettere di aver perso il territorio conquistato dai russi, accettando la clausola di non entrare mai nella Nato e di non ricevere più armi dall’Occidente. Putin deve ancora risolvere la situazione dell’oblast di Kursk, perché resiste un ultimo lembo ucraino ben servito dalle immagini satellitari americane. Allora, se le cose stanno così, in mancanza di alcuna prospettiva concreta di tregua imminente, non c’è alcuna urgenza di creare un corpo di volenterosi franco-inglesi.

Uno status quo marcescente soddisfa le necessità sia dell’amministrazione Trump che quella di Putin, scatenate in progetti planetari (e forse interplanetari) lucrosissimi, come dire “businessmen di tutto il mondo, unitevi”. Una situazione che all’atto pratico va bene anche all’Europa, perché gli affari sono affari e l’Italia, ad esempio, è allineata con gli Stati Uniti in una pole position potenzialmente lucrosa così come quella francese e tedesca. Ma, come ne “La guerra di Troia non si farà” di Jean Giraudoux, i rituali e i vertici sulla pace e sulle truppe dell’Onu, perché no, brasiliano-ugandesi, si moltiplicano ma perdendo di efficacia. Lo status quo privilegia gli affari rispetto alla guerra, salvo che per quei poveri disgraziati degli ucraini, che continuano ogni giorno a combattere e morire nella loro patria invasa senza che l’Onu fiati.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.