Donald Trump potrebbe anche essere eletto alla Casa Bianca e lì chiuso agli arresti domiciliari per scontare la sua pena. Quale pena? Il giudice competente non l’ha ancora detto. In America in genere nei paesi di common Law chi decide sull’innocenza e colpevolezza è una giuria popolare di cittadini qualsiasi. Quando vivevo lì mi capitava di vedere amici e amiche convocati con un foglio giudiziario davanti a un giudice che aspettava di valutarli. Per fare una giuria ci vuole un tempo lunghissimo. I giurati devono essere valutati da accusa e difesa, spogliati della loro individualità privata e setacciati, inquisiti, psicologicamente perquisiti da personale esperto a caccia di tracce di pregiudizio: chi è prevenuto perché razzista, chi per motivi religiosi, chi per questioni di genere, chi per rabbia sociale o ricchezza smodata, tutto può essere usato da un tribunale per bocciare i cittadini sorteggiati per far parte di una giuria.

Quelli per Donald Trump sono stati 12, sono rimasti seduti composti per tutte le sessioni, non hanno applaudito, non hanno sorriso, non hanno fatto smorfie, sorvegliati dallo sguardo da mastino degli agenti del tribunale che obbediscono al loro giudice come fossero un loro corpo speciale. Ogni Stato è uno stato a sé e ogni legge può essere diversissima da quella dello Stato limitrofo, cambiano gli accenti, anche se non molto, ma cambia la posizione sociale, la gerarchia di chi fa i calcoli sulle future elezioni, sia locali che federali, tutto conta. La politica giudiziaria nei confronti di Donald Trump è molto discutibile perché e chiaramente condotta da uomini che cercano in modo spasmodico di mettere fuori scena e competizione il candidato e probabile futuro presidente americano.

Il Muppet in corte

Lui, The Donald, sembrava un “muppet” dei personaggi di Sesame Street durante le sedute in Corte nella “parte bassa” di Manhattan. Chiudeva gli occhi o li serrava fra mille rughe. Poi li schiudeva, li spalancava e scuoteva lentamente la testa. Guardava da destra a sinistra e viceversa, e fu così che il giudice ritenne che con tutte quelle mosse indecifrabili, comprese le parole che Trump urlava fuori dal Tribunale contro i testimoni avversi, fosse il caso di rimettere in riga il cittadino Trump. Ma il cittadino Trump si è rivolto alla Corte Suprema che in maniera contorta gli ha dato ragione: come ex Presidente aspirante Presidente ha diritto a delle “immunities”, dei privilegi.

Quando andai a vivere a New York, quasi trent’anni fa, due cose mi colpirono dopo lo skyline nella nebbia: che la gente nell’ascensore volesse a tutti i costi sapere perché portassi una cravatta (un evento mondano? colloquio per lavoro? un “date” con la ragazza?) e l’altra cosa che mi sembrò strabiliante era che anche le Corti di giustizia fossero aperte tutta la notte come i forni del pane, con un andirivieni di sirene, di arrestati spesso perdonati con una ramanzina o dopo una notte in cella in attesa della cauzione. Niente accumuli di fascicoli: “Perché hai preso a martellate la vetrina di quel gioielliere?”. Non lo so neppure io, vostro onore, forse mi ero distratto… “È la prima volta?”. Si vostro onore. “Se ti riportano qui un’altra volta con un martello in mano, io ti spedisco a pedate da tuo padre che ti darà il resto. Ora puoi andare figliolo”. Grazie vostro onore.

Molte scene – allora – da metropoli stanca e spesso incline al perdono. I processi non hanno diversi ranghi, niente maxi-aula per maxi riprocessi. Si sta in tanti quanti ne entrano, gli altri fuori. La giustizia è spietata e democratica e sempre più donna e sempre più nero. Anche il traffico nella grande metropoli è regolato da ufficiali di polizia che sono per lo più materne donne nere molto corpose e poco amichevoli, al cui fianco penzola un pesantissimo revolver. La loro passione è fermare tutto il traffico convulso per far passare una mamma con la carrozzina o una fila di anatre uscite dal parco e dirette al bar dei cornetti. Tutto avviene nei piccoli campi da gioco detti “courts”, corti (la parola “tribunal” ha in significato istituzionale, ma è l’aula il regno di un solo giudice monarca come quello della Corte in South Manhattan che ha processato Donald, ex Presidente, e forse futuro Presidente, avviandolo al “magazzino per galeotti a strisce” o libero cittadino, chi può dirlo.

Il lascito americano

La pena viene decisa dai giudici, mentre il verdetto di colpevolezza o di innocenza lo decidono i giurati, come abbiamo visto tante volte in film e telefilm, memorabili come un corso di laurea nei Cinquanta e Sessanta, che avevano come protagonista Perry Mason interpretato da Raymond Burr mentre la parte del cattivo toccava al tenente Tragg interpetrato da Ray Collin che usciva sempre con la coda fra le gambe. Quella serie costituì il monumento culturale e il lascito americano a un principio liberale: milioni di spettatori sono chiamati a godere del riconoscimento di una innocenza, della soluzione di un caso giudiziario che aveva afflitto un cittadino innocente. Trump è stato trattato dalla Corte di Manhattan né con i guanti bianchi, né con quelli del boia. Ma lui, appena sentenziato colpevole da una giuria di sconosciuti newyorkesi, è andato dritto ai microfoni e ha detto che era tutta una vergogna, una ignobile cospirazione orchestrata da Biden e dai democratici.

Il gioco duro in ogni Corte

Ciò che a noi sfugge è il gioco duro che avviene in ogni Corte, perché è il primo tempo in un’inquisizione priva di qualsiasi limite e regola su di ogni giurato per trovare i punti deboli ed esporlo alla decisione di scartarlo, o scartarla, usando i poteri sia della difesa che dell’accusa. Ho visto gente piangere per non essere riuscita a farsi esonerare da una giuria pur avendo fatto il possibile per mostrarsi inaffidabili, sospetti o poco di buono. L’istituto della giuria popolare è più sacro e severo del servizio militare: qualsiasi cittadino può essere sottoposto ad un sequestro che può durare anni, e non ha vie di scampo.

Il caso di Hunter Biden

Dall’altra c’è il candido Joe Biden i cui guai dipendono tutti dal figlio incriminato Hunter Biden, di cui il papà Presidente ieri ha detto: “Se Hunter si fa condannare un’altra volta io di lui non voglio più sapere”. Che cosa ha combinato Biden figlio? Affari corrotti. E dove? In Ucraina. L’Ucraina e la Russia restano lande di corruzione infinita. Una prova? Il fatto che Vladimir Putin, volendosi liberare di alcuni generali e dello stesso ministro della Difesa, li ha accusati di corruzione. Tangenti sulle forniture militari, imbrogli alla dogana cinese.

Hunter Biden, il furbissimo figlio dell’esile Presidente che scivola sulle scalette dell’aereo, aveva le mani in pasta con tutti gli oligarchi ucraini di un tempo, legati mani e piedi con quelli russi che fanno parte del primo e del secondo cerchio del Cremlino. Per cogliere il frutto maturo della rovina familiare di Biden, Donald Trump negli anni 2019 e 2020 cercò in tutti i modi di convivere il presidente ucraino Zelensky affinché si facesse consegnare dalla procura di Kiev i file dell’istruttoria ucraina sugli affari sporchi di Hunter Biden. Zelensky si rifiutò e Trump se la legò al dito, ma da allora non ha fatto che provocare l’antagonista Biden rinfacciandogli i reati del figlio.

Tutto fa brodo

In America, e questo lo capiscono bene anche gli europei, è buono tutto e non si butta niente. Quando si combatte per vie legali: dita negli occhi, sesso, pornostar, passati obliqui e poco chiari di qualsiasi parente ed ex moglie e fidanzata, conti correnti, mutui, tutto fa brodo e l’importante è impressionare la giuria fatta di gente qualsiasi e che è stata selezionata e denudata moralmente, trattata con dispetto e rispetto allo stesso tempo. A Trump, che faceva troppo lo spaccone dopo le udienze, il giudice di New York e quello georgiano gli hanno messo una inefficace museruola per ogni atteggiamento intimidatorio. Non è servito ovviamente a nulla.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.