Economia
Trump inaugura la guerra commerciale: il made in Italy teme danni per 10 miliardi e PIL al ribasso

Le opzioni sul tavolo sono tutte, e davvero pochi sono pronti a scommettere su quale scelta farà. Il Liberation Day proclamato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è arrivato. Nella giornata di oggi il nuovo inquilino della Casa Bianca farà sapere quali dazi applicherà, su quali merci e soprattutto a chi. I dazi sono tariffe aggiuntive che si applicano alle merci che una determinata nazione decide di importare. Lo scopo è quello di proteggere le produzioni locali e favorire lo sviluppo di mercati e industrie del posto. Almeno questo è quanto spiega la teoria economica. Nella realtà, invece, è tutto diverso soprattutto in un mondo globalizzato in cui le catene produttive sono diventate multinazionali, in cui il valore aggiunto si crea in Messico, si assembla a Chicago ma poi si vende a Roma. Un’economia che cambia di colpo e che avrà un lungo periodo di assestamento con conseguenze che nessuno può prevedere.
Le opzioni
Trump potrebbe decidere di applicare dazi generali del 20% per ogni singolo prodotto importato negli Usa. Si tratterebbe di una misura ad alzo zero che colpirebbe Stati amici, concorrenti, fornitori e clienti. Altra ipotesi che gli esperti hanno prospettato a The Donald è la differenziazione delle tariffe in base ai prodotti e a chi le realizza. Si tratterebbe di dazi “selettivi”, sicuramente più razionali e attenti alla diplomazia, che consentirebbero di colpire quelle produzioni che la Casa Bianca vorrebbe riportare negli Usa. Infine ci sono i dazi reciproci. In questo caso, l’amministrazione americana colpirebbe le singole nazioni rispondendo a come queste ultime trattano i produttori a stelle e strisce. Cosa sceglierà Trump? Quale tipo di imposizione annuncerà? Nessuno si sbilancia. Ormai il mondo è abituato ai repentini cambi di gioco del presidente americano, tanto che nemmeno gli analisti più vicini al Partito repubblicano e alla dottrina Maga, Make America Great Again, sanno quale potrebbe essere la scelta finale.
Lo spettro della recessione
Gli annunci, i passi di lato, le aperture alle trattative, il rialzo della posta in gioco hanno determinato un clima di incertezza che sta mettendo a serio rischio la crescita economica globale. Sono sempre di più gli istituti di ricerca economica e gli esperti che parlano apertamente di recessione, sia limitata al territorio americano che estesa al resto del mondo. Goldman Sachs ha aumentato la probabilità di una recessione negli Stati Uniti al 35%, principalmente a causa delle tensioni commerciali e delle politiche tariffarie. Sullo stesso avviso anche Pimco, una società globale di gestione degli investimenti, che eleva il rischio di recessione nel 2025 al 35%, rispetto al 15% stimato a dicembre 2024, attribuendo l’aumento alle politiche tariffarie dell’amministrazione statunitense. Fanno lo stesso anche Jp Morgan, DoubleLine Capital e Pictet Asset Management: il gotha della finanza globale che teme sempre di più le scelte legate all’imposizione di dazi. Per non parlare del numero uno del fondo BlackRock, Larry Fink, che in una lettera agli investitori esprime un timore di cui si comincia a parlare sempre più spesso: il dollaro potrebbe non essere più la valuta internazionale adottata negli scambi globali. Il che causerebbe un vero e proprio terremoto nell’economia Usa.
L’incertezza in Italia
A temere i nuovi dazi è soprattutto il sistema produttivo e commerciale italiano. Il nostro Paese è un esportatore netto, e il mercato americano è uno dei preferiti da parte delle aziende locali. Non solo: l’export italiano nutre il nostro Prodotto interno lordo. Con i consumi interni al palo da lungo tempo e la spesa pubblica praticamente improduttiva, sono le vendite all’estero a consentire la crescita dell’Italia. Se anche l’export si fermasse, allora il Belpaese potrebbe soffrirne molto. Secondo alcune stime, i dazi americani potrebbero causare danni per circa 10 miliardi di euro alle esportazioni del Made in Italy. E, secondo l’Ocse, il PIL italiano nel 2025 non supererà lo 0,7 rispetto alla previsione del governo di più 0,9 a causa del protezionismo Usa. Oltre ai prodotti agroalimentari tipici Made in Italy, sarà il comparto automotive a soffrire senza contare l’export di alluminio e acciaio. La conseguenza immediata potrebbe essere una contrazione della produzione mentre le aziende cominciano a individuare nuovi mercati di sbocco per le merci. Anche perché la guerra dei dazi potrebbe essere solo all’inizio. Se la risposta europea sarà in linea con le dichiarazioni dei giorni scorsi, ci aspettano tempi difficili.
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