Equilibri precari
Trump-Musk, l’arrivo della tempesta: i dazi, le offese e lo scontro sempre più inevitabile
Questo duello mette in chiaro che il finora divino patron della Tesla, quando si tratta delle sue tasche, non esita a definire un’idiozia la politica dei dazi. Ma con l’economia a rotoli e le Borse crollate, Trump predica l’età dell’oro

Karoline Leavitt, la ventottenne e geniale “Press Secretary” che ogni giorno affronta i giornalisti con smagliante cipiglio, se l’è cavata con un “Boys are boys, you know”, come il bonario romanesco “So’ regazzi…”. Ma in realtà si profila una crisi gravissima nell’amministrazione Trump dalle conseguenze incalcolabili.
Il primo dei ragazzacci è l’ex onnipotente e sempre più furioso Elon Musk che a causa delle tariffe trumpiane perde milioni di dollari in borsa al giorno mentre la sua Tesla cola a picco nelle vendite. Tuttavia, Musk benché furioso, non è ancora arrivato a dare dell’idiota al Presidente Donald Trump di cui è stato il maggior finanziatore in campagna elettorale e poi tagliatore di teste per suo conto. Il secondo dei ragazzacci è un poco conosciuto accademico che si chiama Peter Navarro, consigliere economico del Presidente, uno che si sente invulnerabile per aver scontato quattro mesi per disprezzo della Corte che indagava sui tumulti del 6 gennaio 2020 a Capitol Hill per non danneggiare Trump. È un accademico poco conosciuto ma ferreo sostenitore di Trump e dei suoi dazi anche quando colpiscono Musk.
L’offesa al fedelissimo di Trump
Così Musk se l’è presa con lui dandogli prima del “leccaculo”, poi dell’idiota (“moron”) e infine di essere più “stupido di un sacco di mattoni” noi diremmo patate. Poi Musk ha chiesto scusa ai mattoni. Navarro ha riposto a Musk accusandolo di non essere un vero costruttore ma soltanto un assemblatore di pezzi comprati qua e là, specialmente le batterie. L’episodio così colorito ha attratto i giornalisti che ne hanno chiesto conto a Karoline Leavitt la quale se l’è cavata dicendo che “Boys are boys”. I ragazzi sono fatti così. Ma non è affatto così. Questo duello, parolacce e mattoni a parte, mette in chiaro che il finora divino Elon Musk (che ha avuto finora licenzia di licenziamento degli impiegati inutili) quando si tratta delle sue tasche non esita a definire un’idiozia la politica dei dazi e dà dell’imbecille a un mero esecutore degli ordini di Trump lasciando capire di essere vicino alla rottura, dopo essere già uscito di scena con DOGE.
Musk non è un profeta ideologo, né un teorico: è soltanto l’uomo più ricco del mondo che fabbrica auto elettriche e sogna la conquista dello spazio. Ma che ora vede crollare le vendite delle sue auto elettriche e le sue azioni precipitare in borsa per una somma quasi pari a quella che ha donato a Trump per la sua campagna elettorale. Dall’altra parte, Navarro spunta sul calendario i giorni di servizio che ancora non raggiungono quelli passati in galera per fedeltà al capo. Ma, letto lo scambio di insulti, Trump adesso non sa, quando va a dormire, se al mattino si ritroverà anche lui con un timbro da imbecille, più stupido persino di un sacco di mattoni che per ora Musk ha riservato al suo modesto esecutore Navarro. Altro che evento di colore, qui è in gioco la politica delle tariffe. Infatti, l’economia va a rotoli, le borse crollano, i prezzi crescono e Trump seguita a predicare l’età dell’oro.
Musk-Trump, l’arrivo della tempesta
Ma quasi tutti gli economisti americani e stranieri sono sicuri che l’idea delle tariffe sia veramente “moron” e pensata da un sacco di mattoni. Intanto, si allunga davanti alla Casa Bianca la coda di chi va a chiedere uno sconto. Navarro è sicuro che Trump non oserà licenziare un fedelissimo che si è fatto duecentoventi giorni di galera per essersi rifiutato di testimoniare e forse pensa di essere un intoccabile. Ma può darsi invece che pesi di più il fatto che Musk vede precipitare sia il valore delle sue azioni che le vendite di Tesla. È furioso, ma non attacca ancora Trump. Manda in avanscoperta suo fratello Kimball Musk. E così, mentre Trump seguita a definire Musk “un genio”, lo stesso genio dà dell’imbecille a un poveraccio che esegue ciecamente gli ordini di Trump. Non occorrono occhiali tridimensionali per vedere l’arrivo della tempesta. Musk pretende che Trump cacci Navarro, il quale non fa passare giorno senza ricordare a tutti di aver scontato quattro mesi per difendere Trump che dovrà scegliere non fra due permalosi litiganti, ma dovrà dire, rimuovendo o lasciando Navarro, se intende fare un passo indietro sulle tariffe.
Se cacciasse Navarro, manderebbe a Musk il segnale di essere disposto a rivedere la politica dei dazi e ne seguirebbe un effetto domino perché tutti e non solo Musk imprecano ormai contro la politica dei dazi – degna di un cretino più stupido di un sacco di mattoni – che sta svenando il consumatore americano. L’ultimo grave segno di rottura, lo abbiamo accennato, è venuto da Kimball Musk, fratello di Elon e membro del CEO di Tesla, il quale non se l’è presa con Navarro ma direttamente con Trump e con parole di fuoco: “Chi avrebbe mai detto che proprio Donald Trump si sarebbe trasformato nel presidente che, più di ogni altro nella storia avrebbe alzato le tasse al consumatore e anche in modo strutturale?”. Parole gravissime che fanno capire come, al di là dello scambio di insulti fra Musk e Navarro, siamo di fronte al primo concreto segno di ribellione contro la politica delle tariffe di un Trump ormai assediato nell’inner circle dei fedelissimi, che va a dormire con il dubbio che Musk dia anche a lui dell’idiota, più scemo di un sacco di mattoni.
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