Quel che è fatto è fatto, e ormai mancano poche ore al verdetto. Chiedersi che cosa farà Kamala Harris se sarà eletta è una domanda in fondo noiosa, con poche risposte e tutte prevedibili. Ciò su cui si discute davvero è che cosa sarà l’America e il mondo e noi nel caso in cui vinca Donald Trump. L’America determina i destini del mondo da più di un secolo e oggi la prospettiva di una vittoria di Trump significherebbe l’abbandono dei rapporti speciali con l’Europa, anzi l’abbandono dell’Europa al suo destino, di regola solo nella sua scialuppa con viveri per pochi mesi e senza bussola. Bookmakers danno Trump vincitore, ma Kamala potrebbe fare il miracolo e vincere, e forse proprio questo sarà l’esito delle elezioni. Oggi non ci crede nessuno: tutti temono, molti sperano, ma tutti danno per scontato che Trump cambierà le nostre vite.

Elettori spazzatura e Nato

Le ultime ore della campagna elettorale sono state un happening di battute, sketch, insulti teatrali e trovate da palcoscenico come quella di Trump vestito da spazzino, o meglio, da operatore ecologico, in giubbotto arancione con striscia gialla che si mette alla guida di un camion della nettezza urbana per andare a raccogliere le immondizie, ovvero i suoi propri elettori – così come li ha definiti Joe Biden mettendo Kamala Harris in una tremenda difficoltà. Ma il giocattolo della narrazione americana – con tutte le sue sorprese, vergogne, differenze, assurdità, genialità e follie – fra poche ore avrà le pile scariche e sarà il momento in cui i duri entrano in campo e ciò che sarà detto ci riguarderà personalmente. Questa è la potenza degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sono liberi di decidere il nostro futuro e non è in questo caso un atto di arroganza ma al contrario, Trump avrà un obbligo di emancipazione che costringerà noi europei, se non vogliamo essere inghiottiti dai Brics economicamente e politicamente – a spendere una marea di soldi per armarci, di cui oggi non abbiamo neppure: sarà l’esercito europeo, la Nato o un suo sostituto più ridotto, ma sarà inevitabile spendere come minimo il 2,5 per cento se non il tre nella difesa ovvero nelle spese militari, acquisto e anche vendita di armi addestramento e tutto ciò che occorre per restare vivi e pacifici di fronte a un mondo che usa la retorica della bomba atomica 24 ore al giorno.

Cosa succederà in caso di vittoria di Trump

Ma davvero la vittoria di Trump porterà il totale isolazionismo americano come negli anni 20 e 30 del secolo scorso, oppure ci saranno eccezioni? Trump gioca la carta del matto, figura costante in tutti i tarocchi, i simboli premonitori: “Quando io sarò presidente, i nostri rapporti con la Cina saranno equilibrati e rispettosi. Io – dice Trump – ho grande rispetto per il presidente Xi Jinping. E anche Xi Jinping mi rispetta. Ma sa anche che io sono un fottuto pazzo furioso, capace di decisioni improvvise e violente”. La traduzione corretta di questa ed altre simili frasi non è che Trump voglia la guerra, ma sarebbe in grado di vincerla su tutti i fronti contemporaneamente. Ed è un fatto che nei suoi quattro anni di presidenza, gli Stati Uniti d’America non hanno sparato un colpo ma una selva di missili – senza fare vittime – su un campo di aviazione siriano per stupire Xi Jinping, ospite nella magione di Mar a Lago. Il Presidente cinese guardò distrattamente le immagini e si dedicò agli aperitivi americani. In quella stessa casa Trump portò il dittatore nordcoreano dopo averlo visitato a Pyongyang. Trump ha ripetuto più volte che da presidente eletto e prima ancora di entrare nella Casa Bianca avrà chiuso la guerra in Ucraina: si suppone imponendo agli ucraini di accettare delle mutilazioni territoriali, cosa che peraltro Zelensky si aspetta giocando d’anticipo con una diplomazia laboriosa e segreta che già tratta con i russi. E poi c’è il problema rappresentato da quel cartone animato che è Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo che parla sincopando pause e grumi di parole. In caso di vittoria di Trump entrerebbe nel governo, prenderebbe definitivamente il controllo dell’ente spaziale della Nasa con la sua Space X, e parteciperebbe alle decisioni di politica estera perché Musk è amico di Putin al punto tale da ricevere una richiesta telefonica dal Cremlino: “Elon, per favore, non consegnare ai taiwanesi quel sistema d’armi che gli hai promesso: consideralo un atto di gentilezza nei confronti dell’amico Xi Jinping”. Musk è un personaggio sia nuovo che arcaico nella storia dell’umanità: può decidere a chi far vincere una guerra e sta preparando il trasferimento dell’umanità su Marte mentre è pronto a lanciare un supertelefonino da cento dollari capace di prodezze inaudite. Negli ultimi comizi di Trump si è messo a ballare, cantare e fare salti in aria scoprendo la pancia, e ha creato una specie di lotteria per cui chi vota Trump può vincere un milione di dollari. Attenti a quei due, perché hanno entrambi una politica estera personale guidata da impulsi umorali, come ha ricordato Trump. E tutti e due hanno sulle scatole l’Ucraina e Zelensky per motivi personali e non ideologici.

Cosa succederà in caso di vittoria di Harri

Proviamo ora a immaginare che cosa succederebbe se vincesse Kamala Harris. Trump ha già detto che, nel caso, contesterà l’elezione, gentilezza che Kamala ha fatto sua e ha ritorto a Trump. Non ci sarà il cavalleresco “conceding”, quando il perdente riconosce di aver perso e fa i suoi auguri al vincitore. Tuttavia, se vincesse, Kamala seguirà la linea tradizionale in politica estera, muso duro contro i russi, arma al piede con i cinesi, ma avrà un sacco di problemi interni: ha detto di volere nel suo governo almeno un repubblicano, purché non sia quel bullo da quattro soldi di Trump. Poi dovrà garantire un’economia stabile in una fase che è già di ripresa e azzeramento dell’inflazione. Ma dovrà fare molte paci separate con i segmenti infiammati della sinistra: con i neri stufi di essere solo una riserva di voti, con le donne stanche di essere trattate come fenomeni anziché come donne, e con la classe operaia che vuole una politica protezionistica. E poi dovrà vedersela con i cinesi, col rompicapo di Taiwan e l’orda dei paesi “Brics” che seguono a distanze diverse le posizioni di Putin che si trova stretto fra amici poco raccomandabili: la Cina da cui dipende come un vassallo, la Corea del Nord che ha mandato truppe combattenti nell’area di Kursk in cui si sono stanziati gli ucraini dal sei agosto. A Kamala occorre un segretario di Stato coi controfiocchi, che potrebbe anche essere Antony Blinken, che però manca di fantasia e in Medio Oriente non ha fatto la differenza. Il problema di Kamala è che non ha ancora un’idea certa di nulla, oppure la tace accuratamente.

Il destino del mondo

Le due Americhe che usciranno dalle urne, una vittoriosa e una frustrata, sono fra loro separate e si detestano e insieme determineranno il nostro destino e quello delle nostre industrie, dello standard di vita, e i democratici seguiteranno a stabiliture in che modo devono essere fatte le serie televisive, quanti personaggi gay, quanti neri, latinos, asiatici, ricchi, poveri, buoni e cattivi. L’Europa ha adesso l’occasione di guardarsi allo specchio e constatare quanto poco conti, non per colpa dell’invadenza e prepotenza americana, ma per le sue furbizie, arroganze, micragne e la mancanza di coraggio nell’affrontare i problemi che dividono schierandosi da una parte o dall’altra e poi ricucire una pace che regga. Una antica verità romana sembra emergere su tutte: si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace, armati fino ai denti per scoraggiare chi avesse la tentazione di qualche operazione militare speciale. Il che significa spesa militare, scioperi, tumulti e – in grande spolvero – tutto il finto pacifismo dei filorussi che, fateci caso, in genere sono anche No vax e filo Hamas, ma questa è una casualità che richiede altre riflessioni. Intanto facciamoci gli auguri: buone elezioni americane, che ci siano lievi le conseguenze planetarie.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.