Trump in quarantena. La pandemia irrompe nella parte finale della campagna presidenziale americana. Con quali ricadute? Il Riformista ne parla con uno dei più autorevoli studiosi del “pianeta Usa”: Massimo Teodori, professore di Storia e Istituzioni degli Stati Uniti. Tra i suoi libri sull’America, ricordiamo: Ossessioni americane. Storia del lato oscuro degli Stati Uniti (Marsilio, 2017); Obama il grande (Marsilio, 2016); Storia degli Stati Uniti e il sistema politico americano (Mondadori, 2004) e, dal 20 maggio in libreria, Il genio americano. Sconfiggere Trump e la pandemia globale (Rubettino, 2020).

L’effetto pandemia irrompe nelle presidenziali americane. Trump e Melania positivi al Covid e in quarantena. Quali ricadute può avere tutto ciò sulle presidenziali?
Trump ha cercato di allontanare da sé tutti gli effetti del Covid, lui che è responsabile di non aver avvertito i cittadini americani a gennaio del 2020 della gravità della situazione, così come testimonia l’intervista pubblicata in Rage, il libro di Bob Woodward, il quale dice che Trump già nel gennaio 2020 era stato messo a conoscenza della gravità del Covid ma non aveva voluto spaventare gli americani. Mettendo insieme tutti questi elementi, tenendo conto che lui ha molto giocato in maniera bullesca sulle cose che bisognava iniettarsi, sulla mascherina che non era necessaria e via di seguito, io penso che questa positività ad un virus che aveva colpevolmente sottovalutato per lungo tempo, avrà un ulteriore impatto negativo sui voti per Trump e un ulteriore impatto positivo su quelli per Biden. Al momento non abbiamo nessun sondaggio che dica una cosa del genere, ma tendenzialmente questa mi pare che sia l’opinione che si sta formando.

Quindi un Trump malato non riuscirà a intenerire il cuore degli americani?
Bisogna dire che gli elettori di Trump sono una massa minoritaria però molto compatta e molto determinata. È una massa che lui sta cercando di mobilitare sotto ogni forma per provocare delle contestazioni delle elezioni in maniera tale da rimandarle alla Corte suprema o comunque al giudizio dei singoli Stati dell’Unione. Questo perché la Costituzione e la legge consuetudinaria dicono che qualora non si venga a capo dei conflitti che insorgono sul voto, gli Stati possono riappropriarsi del potere di nominare i membri del collegio elettorale, che poi sono quelli che eleggono il Presidente: uno Stato grande ne ha 45, quello piccolo 3 e via di seguito. Già da tempo si discute sul fatto che la strategia principale di Trump consista nel fare quante più possibili contestazioni, soprattutto sul voto postale, per rimettere la decisione della scelta dei membri del collegio elettorale di ogni Stato al potere dello Stato stesso. E siccome la maggior parte di quelli piccoli, soprattutto della fascia intermedia e del sud sono governati da maggioranze repubblicane, la sua strategia, almeno di questo si discute, è quella di mandare a carte quarantotto i risultati elettorali e ridare il potere alle assemblee degli Stati. Può darsi che anche sulla sua malattia, cercherà di trovare un altro marchingegno per contestare le elezioni o magari cercare di rimandarle, anche se nella storia delle elezioni presidenziali dal 1890 ad oggi, non c’è mai stata una sola volta in cui la data delle elezioni, che è stabilita per Costituzione, sia stata rimandata. Quello che può fare Trump e che probabilmente tenderà a fare, è lasciare aperta la soluzione del voto dal giorno delle votazioni, il 3 novembre di quest’anno, fino al giorno dell’insediamento, al fine di creare il massimo di confusione possibile e quindi premunirsi di un rinvio definitivo di tutto il risultato del voto alla Corte suprema. Da qui anche la determinazione a far confermare la giurista , che ha indicato come nono membro, Amy Coney Barrett, di formazione decisamente conservatrice, al posto di Ruth Bader Ginsburg, l’icona liberal recentemente scomparsa.

In questo scenario, come valuta l’atteggiamento fin qui tenuto dallo sfidante democratico, Joe Biden?
Io lo ritengo positivo. Perché non ha cercato, come il suo avversario, la rissa e il conflitto nella società. Trump ha sobillato i gruppi suprematisti bianchi, che sono anche armati, così come le polizie locali, i governatori etc. E più conflitto c’è, e più Trump può far valere di essere l’unica persona capace di mantenere legge e ordine, Law&Order, che è diventato il suo slogan principale in queste elezioni. Quindi mi pare di poter dire che il profilo basso di Biden, che non risponde solo al suo carattere e alla sua storia, ma anche alla volontà di non dare la possibilità a Trump di aumentare la rissa, sia stata una scelta giusta, che ha finito per spiazzare il suo avversario. Biden non è caduto nella trappola di una situazione di tensione sociale e addirittura di scontri armati e di assassinii da una parte e dall’altra, che possono fare il gioco di Trump.

Manca un mese esatto al voto. A questo punto, a sua avviso, la partita su quali segmenti della società americana si gioca? E su cosa dovrebbe puntare Biden?
Dando per scontato che i neri dovrebbero mobilitarsi e andare a votare, i latinos dovrebbero fare la stessa cosa, anche se ci sono delle fasce di latinos, ad esempio quelli della Florida, che per ragioni storiche e culturali sono piuttosto tendenti a destra. Il punto fondamentale è la conquista del consenso degli abitanti dei sobborghi, di un ceto medio, medio-basso, di una classe lavoratrice che si è spostata molto negli ultimi trent’anni a favore dei Repubblicani, visti come i paladini del contrasto a quella manodopera a basso costo fornita dai neri e soprattutto dagli immigrati latinos e dagli altri immigrati. L’obiettivo principale di Biden dovrebbe essere puntare, in questo rush finale della campagna elettorale, ad attrarre nel suo campo i bianchi della classe media e medio-bassa, soprattutto della fascia di età media che è stata quella che ha plebiscitato l’altra volta Trump. Anche perché per l’elettorato nero e quello femminile c’è la compensazione del ticket Democratico, con Kamala Harris candidata alla vice presidenza. Di solito, nel ticket, il vice presidente viene scelto come complementare al presidente per attirare settori di elettorato su cui fare maggiore presa di quanta non ne possa fare il presidente.

Trump, Biden. La loro statura non eccelsa non sta a dimostrare che negli Stati Uniti esiste una crisi di leadership?
Questo è fuori di dubbio. Biden sicuramente è un candidato che non ha carisma, molto debole, però è quello che, in un sistema bipartitico, la piazza presentava. Tuttavia Biden è un uomo che tradizionalmente ha avuto dei rapporti positivi, ad esempio, con la classe lavoratrice, con i sindacati e anche con il ceto medio moderato.

A proposito della caccia al voto. Trump ha mandato in missione in Vaticano il segretario di Stato Mike Pompeo. Ma Papa Francesco non l’ha voluto ricevere perché, ha spiegato la Santa Sede, non intendeva entrare nel “gioco” elettorale. Questo smacco può incidere sugli orientamenti dell’elettorato cattolico americano?
Bisogna vedere come i giornali e le reti televisive americane riportano la vicenda. Quella dello smacco per il mancato incontro di Pompeo con il Papa, è una lettura che diamo noi qui. Il mondo cattolico americano è spezzato in due: da una parte ci sono gli ammiratori del Papa, i cosiddetti progressisti, e sul fronte opposto c’è tutta una parte di cardinali e di alte sfere dell’episcopato che guidano lo schieramento anti-Francesco. Questa parte dell’episcopato è già schierata con Trump, e non credo che l’altra parte dell’elettorato cattolico, quella più dedita all’impegno sociale e solidaristico, possa spostarsi a favore di Trump.

Quanto può influire la politica estera nel determinare il voto del 3 novembre? Trump può fregiarsi degli accordi di pace stretti da Israele con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein.
Tradizionalmente la politica estera non influisce sul comportamento di voto dell’elettorato. Per quanto riguarda gli accordi a cui faceva riferimento, bisogna tenere presente che la maggior parte della comunità ebraica statunitense è concentrata nello Stato di New York, e nello Stato di New York chi conduce oggi la campagna contro Trump è il New York Times che è notoriamente il giornale leader della stessa comunità ebraica. Mi pare difficile che il mondo ebraico – ad eccezione di una parte integralista che poi è quella a cui si rivolge il consigliere-genero di Trump, Jared Kushner – possa essere sensibile, fino al punto di cambiare l’orientamento di voto, a questi accordi che pure sono accordi importanti.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.