Lascia perdere il futuro
Trump, quel pupazzo Michelin col ciuffo arancione che ci ha rubato l’America

Ci hanno rubato il passato. Lascia perdere il futuro, perché quello ha più ipoteche di un barone caduto in rovina. Verranno i barbari? Vedremo l’apocalisse? Forse Netflix sa qualcosa, noi no. Nel futuro sarà obbligatorio un atto di fede nell’intelligenza artificiale e dovremo forse dichiarare che anche un tostapane ha il suo pensiero. Ma il futuro è materia arata e noiosa. Mentre invece conta il passato e quello ce lo hanno ucciso.
Era il passato che navigava nella notte artificiale pieno di stelle e incendi come il Rex di Fellini ed era lo sfolgorante transatlantico Stati Uniti d’America. Potevamo fino alla settimana scorsa odiare e amare l’America, perquisire la sua letteratura, la sua musica, le sue università e la sventata anarchia deridendo, noi scaltri europei, l’eterno ridicolo delle middle class ma poi immergerci nel cinema, nella pittura astratta americana che aveva espropriato Parigi del suo rango di capitale per trasferirlo a New York City con creature sbandate come Jackson Pollock che vendeva tele sgocciolate per un dollaro.
L’arte dormirà in una intubata anestesia come tutto l’insano e fecondo groviglio di marginalità dell’America che viveva anche dentro di noi e che Donald Trump ha dichiarato mai avvenuto. Questo ha fatto al nostro passato quella sorta di pupazzo Michelin col ciuffo arancione e il suo vicesceriffo J.D. Vance che non si sa se studia da Beria o da Himmler. Devo dire, conoscendo e avendo visto crescere figli e sentimenti americani, che gli Stati Uniti hanno sempre mostrato una certa venatura sovietica nell’autoritarismo sociale, nella condanna collettiva e altri riti. Ma ciò che succede oggi è “unamerican” non americano. Abbiamo vissuto sia il pregiudizio ideologico col microchip che ti inseriscono nel cervello (“Maledetti americani”) sia la passione personale che ciascuno si è allevato a suo modo creandosi una sua propria America e che era come una grande macchia di Rorschach in cui ciascuno poteva vedere quel che voleva.
Ma dallo scorso venerdì 28 febbraio l’America più grande e vera ci è stata strappata non soltanto dagli occhi e dalla speranza: Donald Trump e il suo esercito dal cervello accuratamente lavato e rilavato ce l’hanno estirpata dal passato. Ne abbiamo avuto conferma persino nella notte degli Oscar, ridotta a una balera. E anche se giorno tornasse, l’America, stenteremmo a riconoscerla perché sarebbe sconosciuta. La nostra America oggi è un non-essere. Era meravigliosa e irripetibile, pochi se ne accorgevano, proprio per la sua unica caratteristica unica: cambia sempre, è sempre in una crisi esistenziale palpitante.
L’America è continuamente diversa e in crisi. Si odia e si ama, si scrolla da sé. Avremo invece un’America stabilizzata ad una sola voce perché il brusio sarà assegnato a una tonalità predefinita. È fatta. Addio a noi stessi, un ricordo a noi che coliamo a picco senza un passato fingendo di emozionarci con l’Inno alla Gioia di Ludwig van Beethoven, algido jingle di un’Europa in cui giuriamo di sperare, tenendo sempre due dita incrociate dietro la schiena.
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