Il duello
Trump torna in testa nei sondaggi, finita l’allucinazione collettiva di Harris: il dibattito tv che accende la febbre americana
Sorpresa: Trump è stabilmente in testa e la Harris gli sta sotto di tre punti. Sembrava il contrario, ma è bastato un sondaggio fatto come va fatto (e cioè con i campioni, i correttivi, le domande, la tara) per rendersi conto che non soltanto Trump per ora vince, ma anche che la sensazione di vittoria della Harris sia stata in parte un’allucinazione collettiva. Un’allucinazione determinata da numeri approssimativi e non omogenei, grazie alle impennate emotive seguite alla nomina ufficiale della Harris alla Convention di Chicago, che ha incassato 82 milioni per la sua campagna elettorale. Ma fatte le cose per bene e con tutte le tecniche formule e i correttivi, l’oracolo della NYT-Siena ha emesso il suo verdetto che vede Trump sempre in testa di due o tre punti, salvo piccole curve. L’America democratica è rimasta molto male, come anche tutti gli indipendenti e molti repubblicani dissidenti, ed è cominciato un contro check per capire da che cosa dipende la momentanea fine dell’illusione. E qui arriva la conferma di un punto che avevano più volte sottolineato: l’elettorato è insoddisfatto delle risposte generiche e non impegnative della Harris.
Troppe chiacchiere e sorrisi, e nessun impegno chiaro. Kamala è istruita dai suoi coach e in questo momento si trova in un grande albergo di Pittsburgh, Pennsylvania, impegnata in ore di training al dibattito con una squadra di istruttori. Che usano il metodo Lee Strasberg per attori e per politici, una derivazione americana della scuola di Konstantin Stanislavskij, l’attore e maestro rivoluzionario del teatro e del cinema che ha insegnato a non recitare il copione ma a viverlo come se fosse la vita. Anche Trump è quasi sempre in Pennsylvania, ed entrambi escono dai loro alberghi solo per piccoli o medi rally in cittadine e campagne, e poi tornare subito nella lobby delle loro residenze a studiare con gli allenatori assistenti che, seguendoli nelle strade, prendono nota delle variazioni degli umori e delle domande e dei punti poco chiari.
Finora tutto ciò che ha detto la Harris è stato deliberatamente poco chiaro, o meglio generico, e rivolto prima di tutto ai non bianchi e alle donne. Ma senza piani, cifre, programmi. In questo senso Trump è più allenato e più preparato perché usa un tono assertivo che o affascina o mette in fuga. Ma il tono assertivo paga. Ed il tono assertivo è il tema del suo nuovo addestramento in vista del match di stasera alle nove, tre del mattino per noi in Italia. Nel quartier generale democratico, alla sorpresa e all’amarezza per i risultati di un poll molto diversi da quelli troppo frettolosamente sognati, non si aggiunge malumore ma solo il desiderio organizzativo prettamente americano di cambiare le pagine, sostituire i consiglieri, tornare all’attacco. E Kamala ha catturato un uomo importantissimo del campo opposto, che ha lasciato i repubblicani di Trump per votare Harris.
È l’ex vicepresidente di George W. Bush, Dick Cheney il quale non soltanto ha scelto di votare per il partito contro cui ha sempre lottato, ma – ha detto – lo voterà non per un cambio di simpatie politiche ma per salvare l’America da una dittatura, vedendo nelle parole e nelle azioni di Donald Trump il vero Catilina – che si prepara alla presa del potere con le armi del colpo di Stato, sopprimendo pesi e contrappesi e mettendo Cia ed Fbi direttamente alle sue dipendenze e minacciando il popolo americano di voler insorgere, come già fece il 6 gennaio del 2020, se i risultati non gli fossero favorevoli. Trump ha sempre detto, con sorriso beffardo, come se fosse una battuta, senza mai però dire che si tratta di una battuta, che “noi accetteremo con la massima disciplina il risultato che delle urne, purché sia io a vincere”. Trump ha ancora a che fare con i suoi processi, anche durante la campagna elettorale, e così mentre sabato era in Wisconsin, un altro stato in bilico, è dovuto correre al tribunale di Manhattan per uno dei suoi processi – salvo approfittare dell’occasione per indire una grandiosa conferenza stampa nella sua Tower sulla Fifth Avenue e poi via di corsa a rassicurare i sindacati di polizia in North Carolina.
Al processo, Trump ha trovato un giudice amico che ha sentenziato di non poter sentenziare finché non si saprà se sarà eletto o no. Per quanto suoni bizzarro alle nostre latitudini, negli States la magistratura è in gran parte elettiva e fa apertamente politica. Lo si è visto anche dalle decisioni a favore di Trump prese dalla Corte Suprema, che ha sentenziato come il giudice di Manhattan: un ex presidente e possibile prossimo presidente gode di immunità e privilegi perché il suo ruolo è quello di Commander in Chief, più di un re costituzionale, ed è un ruolo che non ammette altra opposizione se non quella del controllo della spesa da parte del Congresso. È ammesso che il Congresso metta il presidente in stato di accusa, ma non accade mai che u sia cacciato dalla Casa Bianca, con l’eccezione di Richard Nixon – che preferì dimettersi avendo valutato l’impossibilità di salvarsi dallo scandalo Watergate.
Il duello di stanotte trasmesso dalla Abc News andrà in scena a Pittsburgh in Pennsylvania, che oggi ha un governatore democratico, il prestigioso Josh Shapiro, proprio perché la colonia utopistica fondata dal quacchero signor Penn è il più importante dei grandi Stati incerti, quelli che determinano la vittoria del Presidente. La Pennsylvania è – come il piccolo Ohio – uno Stato campione: dal 1948 questa ex colonia (una delle 13 che fondarono gli States) ha la più alta percentuale di elettori neri e ha sempre votato il candidato vincente. Tutto il mondo assisterà al grande match per poi correre ai risultati dei sondaggi, e mai come questa volta il risultato è totalmente imprevedibile a meno di due mesi dal voto. Gli altri Stati in bilico sono il Wisconsin, il Michigan, il North Carolina, la Georgia, l’Arizona e il Nevada.
Stati molto più importanti come la California non sono “dondolanti” fra i due partiti, visto che voterà certamente per la Harris la quale, come Donald Trump, va a caccia di elettori non registrati (negli Usa ci si può registrare o scegliere di volta in volta) ed entrambi vogliono lo scalpo degli indipendenti e degli indecisi. Fra i primi ha un ruolo di peso Robert Kennedy, figlio del fratello del presidente John Fitzgerald, anche lui assassinato mentre era in corsa per la Casa Bianca. Il blasone dei cattolici del Massachusetts vale ancora voti, e Robert Jr, ha scelto Trump che gli ha promesso un posto di governo in cambio di voti. Brutto colpo per la Harris che contava su di lui dal momento che Robert ha accompagnato Kamala durante alcuni comizi nel Massachusetts, e con lui i sondaggi crescevano di tre punti. Siamo col fiato sospeso in attesa che si possa misurare la febbre americana da cui dipendono molti destini e certamente quello dell’Europa.
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