Due donne, due mamme, unite dallo stesso atroce dolore indescrivibile: in pochi istanti hanno visto i loro giovanissimi figli morire sotto i colpi di armi portate addosso da altrettanto giovanissimi carnefici, in una serata qualunque che sarebbe dovuta essere di svago. Natascia Lipari è la mamma di Simone Frascogna, ucciso a 19 anni a Casalnuovo la sera del 3 novembre 2020. Elisa Ciliendo, è la mamma di Gianluca Coppola ucciso a 27 anni sotto casa a Casoria il 18 maggio 2021. Due morti a cui se ne aggiunge un’altra, tristemente simile, quella di Giovanni Guarino, che a maggio avrebbe compiuto 19 anni, in un Luna Park a Torre del Greco. Ed è alla mamma di Giovanni che le due donne inviano la loro solidarietà: “Sappiamo bene quello che stai vivendo. Tu mamma non smettere mai di urlare il tuo dolore per Giovanni”, dicono.

E continuano: “Saranno questi giorni in cui vedrai milioni di persone, non capirai niente, non ti renderai conto di quello che ti sta succedendo, quando calerà il silenzio tu urlalo, non far cadere il silenzio perché Giovanni merita giustizia, come la meritano tutti”. Natascia e Elisa conoscono bene il dolore che sta provando la mamma di Giovanni. Quella sensazione di impotenza e quel dolore per aver perso un figlio in un modo che non ha spiegazioni. “Io non ho parole, non le ho trovate per me e nemmeno per Elisa e per le altre mamme. Però ti dico che purtroppo la vita non ha più senso per noi. In questo memento la tua vita sarà al buio. Però ti dico: esci fuori, gridalo con tutto il dolore che c’hai dentro, grida giustizia perché Giovanni deve vivere, noi mamme dobbiamo dare voce ai nostri figli perché devono così continuare a vivere”.

Le due mamme raccontano il senso di atroce smarrimento nel cercare di comprendere quelle morti senza senso. “Ne stanno succedendo tantissime di morti in questo modo – continua Natascia – Giovanni Guarino è uno di loro. Più o meno la dinamica è la stessa: per uno sguardo viene ucciso da mano armata. Un’altra mamma condannata al dolore. Il mio pensiero è andato subito a lei, un’altra mamma che non vivrà più perché non si vive. Tutti devono sapere che noi non viviamo più. La nostra vita è al buio e senza colori. Non vedi più il futuro. Potrai avere anche altri figli ma quel pezzo mancante di figlio…non accetti che non torni più a casa. Sono 17 mesi che il mio cervello pensa che Simone infilerà le sue chiavi nella porta per tornare a casa. Quella mamma vivrà così”.

Simone Frascogna quella sera era in macchina con un suo amico per trascorrere una serata in allegria quando si trovò coinvolto in una lite per motivi di viabilità. Fu ucciso da 9 coltellate al torace. Una videocamera ha ripreso tutta la scena. “Simone non c’è più per uno sguardo – dice Natascia – Gli assassini di mio figlio si erano voltati indietro e avevano detto a lui e al suo amico ‘che guardi a fare? Non lo sai noi chi siamo’. Vorrei dirgli: Chi siete voi? Chi siete voi per uccidere un essere umano? Un ragazzo di 19 anni, uno studente con tutta la vita davanti. Chi siete voi per condannare a morte un altro essere umano?”.

“Gianluca indossava un orologio quando è stato sparato sotto casa – racconta tra le lacrime Elisa – Erano le 5 meno dieci. Da quel giorno l’orologio si è fermato e anche noi ci siamo fermati con lui. Non viviamo più. Ha distrutto la famiglia, ha distrutto tutto”. Mamma Elisa racconta che Gianluca era entrato in un bar. Lì sarebbe scoppiata una lite finita a botte. Gianluca tornò a casa con il volto insanguinato e poco dopo scese nuovamente. Appena uscito dal portone di casa c’era il giovane con cui aveva fatto a botte al bar con una pistola in mano. Gli sono bastati due colpi per ucciderlo sotto gli occhi sgomenti del padre che aveva provato a difenderlo. “Mio figlio ha pagato con la vita perché non ha voluto abbassare la testa davanti a un criminale”, dice Elisa.

Per le due mamme a questo enorme dolore si aggiunge anche il calvario a cui vanno incontro dopo con l’iter processuale “infinito” e doloroso. “Sto vivendo i primi processi – racconta Elisa – Io devo dipingere l’immagine di mio figlio perché tempo fa è stata fatta una perquisizione a casa mia ed è stato trovato un cellulare che mio figlio non usava da 8 anni. Lì c’era una telefonata con un amico e poi c’era un fermo in una piazza con un ragazzo che aveva precedenti. Mio figlio a Casoria lo conoscevano tutti perché è cresciuto qui. Sono ragazzi cresciuti insieme poi ognuno ha preso la sua strada. Può succedere che uno ha un fermo con un ragazzo con precedenti ma questo non significa che era un delinquente. Mio figlio si svegliava alle 5 di mattina per andare a lavorare. Se potessi parlare io al giudice dire che quel pomeriggio mio figlio mi ha chiesto 50 euro per uscire con la fidanzata. Il motivo del litigio non è stato per il territorio. In quell’aula del Tribunale devi affrontare tutto questo e non è giusto. Poi sui giornali è stato scritto che tutto ciò era successo per motivi passionali ma non è vero. Mio figlio non aveva motivo di essere geloso di un’ex della fidanzata con cui si sono lasciati tanti anni fa. Lui ha pagato con la vita per non aver abbassato la testa. Per questo chiedo verità e giustizia per mio figlio”. Un dramma questo che vivono tanti giovani, bollati, solo per il fatto magari di vivere in periferia.

E anche il senso di solitudine: “All’inizio, per le prime due settimane, ci sono tutti intorno. Poi sei lasciato solo – conclude Natascia – Poi dopo i funerali scompaiono tutti. È assurdo che noi famiglie delle vittime veniamo completamente abbandonati. Abbiamo un solo supporto, quello della Fondazione Polis, che ci ha affiancato uno psicologo che sta sempre con noi in aula. Non è facile essere presenti ai processi, sedersi accanto a chi ha ucciso tuo figlio”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.