Mentre persistono gli attacchi dell’Esercito nazionale siriano (SNA) sostenuto dalla Turchia a est di Manbij, sul fiume Eufrate, contro le Forze democratiche (SDF) a guida curda, Erdoğan lancia il suo ultimatum e rinnova la minaccia di una nuova offensiva anticurda nella Siria settentrionale, riproponendo i versi di una nota canzone d’amore popolare turca che recita così: “Potrei venire una notte all’improvviso” (Bir Gece Ansızın Gelebilirim).
Il presidente turco è intervenuto al programma della Giornata dei Governatori delle 81 province della Turchia dicendo che se le Unità di protezione del popolo, spina dorsale delle SDF, alleate degli Stati Uniti nella guerra contro l’Isis in Siria, non saranno disarmate ed espulse da tutta la Siria orientale sarà la Turchia a farlo, in una notte all’improvviso.

La minaccia alla sicurezza

Ankara considera le forze curde-siriane una minaccia alla sicurezza e all’integrità territoriale della Turchia perché considerate una ramificazione siriana del gruppo armato PKK, catalogato come organizzazione terroristica che combatte per l’autonomia del sudest anatolico dal 1984. Mentre il PKK è considerato un’organizzazione terroristica anche dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, le SDF invece sono per Washington una efficacissima forza combattante locale nella lotta contro l’ISIS in Siria.

L’obiettivo di Erdoğan

Il presidente turco chiarisce così l’approccio del governo avvertendo che “se le formazioni curde, in patria e in Siria, non seppelliranno le armi il prima possibile, verranno sepolti nel terreno insieme alle loro armi dalla Turchia. Non è la prima volta che Erdoğan pronuncia queste parole. Lo ha voluto ribadire soprattutto al congresso provinciale del suo AK Parti a Samsun. Non vuole un semplice cessate il fuoco o la semplice deposizione delle armi, ma il “seppellimento” delle armi, ciò significa che il PKK, in patria, e le SDF, in Siria, dovranno annunciare lo scioglimento dell’organizzazione e, per quanto riguarda le milizie curde-siriane, queste dovranno confluire nel futuro esercito di Damasco sotto l’amministrazione del nuovo padrone della Siria, al-Sharaa, alias al-Jolani. La minaccia secondo la quale “se le armi non saranno sepolte…” ha un significato sia metaforico che fisico ed è rivolta non più solo alle formazioni armate curde in Turchia, ma soprattutto a quelle in Siria e in Iraq, dove il PKK si è strutturato in forza armata grazie alla cooperazione con gli Stati Uniti.

Il controllo dei campi-prigione

Le indicazioni sono che la Turchia si sta preparando a colpire le forze curde-siriane con tutta la sua potenza militare. Le attività di ispezione del ministro della Difesa nazionale Yaşar Güler e dei comandanti delle forze armate nelle ultime settimane presso unità militari in punti strategici lungo i confini di Siria, Iraq e Iran dovrebbero essere lette secondo le ultime parole pronunciate da Erdoğan. Intanto il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan ha affermato che la Turchia è pronta ad assumere il controllo dei campi-prigione nella Siria orientale che ospitano i detenuti appartenenti allo Stato islamico e che ora sono sotto il controllo delle SDF. Sono circa una dozzina le prigioni dell’ISIS nella Siria settentrionale dove sono rinchiusi migliaia di fanatici membri di gruppi jihadisti salafiti e loro affiliati. Fidan, durante una intervista alla CNN turca, ha rassicurato Washington sostenendo che la Turchia è pronta alla gestione di quelle prigioni e che non deve temere se queste non saranno più controllate dai suoi alleati curdi.

Il piano turco

Con gli Stati Uniti che rafforzano la roccaforte curda di Kobane per evitare che crolli sotto le forze per procura di Ankara, dopo essere stata assediata dallo Stato islamico nel 2014, la Siria post-Assad si sta evolvendo in un condominio USA-Turchia: gli USA che controllano la parte a est (tramite le SDF) e la Turchia che controlla l’ovest del paese, tramite le sue forze per procura e tramite Hayat Tahrir al-Şam (HTŞ), alias al-Jolani. La Turchia vuole che le SDF si ristrutturino all’interno del futuro esercito della Siria, iniziando a sbarazzarsi dei gruppi non siriani, compresi tutti i quadri del PKK. Allo stesso modo, gli USA chiedono la trasformazione dell’HTŞ, con l’eliminazione dei non siriani/radicali nei suoi ranghi. Ciò rappresenterà la base di un eventuale accordo sulla Siria tra Trump ed Erdoğan dopo il 20 gennaio. Per dirla in parole povere, Ankara vuole che le SDF si disarmino entrando sotto il comando di Damasco e si liberino di ogni legame con il PKK prima di una possibile collaborazione con la Turchia, mentre Washington vuole che HTŞ diventi moderata per essere pronta a revocare delle sanzioni. Insomma, le SDF dovranno ristrutturarsi per essere gradite ad Ankara e lo stesso dovrà fare HTŞ per essere gradita a Washington.