La libertà di espressione
Turchia, cresce la censura: parlamento approva legge ‘anti’ social media
Il parlamento turco ha approvato una legge che conferisce alle autorità un potere maggiore di regolare i social media nonostante le preoccupazioni relative alla crescente censura. La legge impone alle principali società di social media come Facebook e Twitter di mantenere uffici di rappresentanza in Turchia per gestire i reclami contro i contenuti sulle loro piattaforme.
Se la società rifiuta di designare un rappresentante ufficiale, la legislazione impone multe salate, divieti pubblicitari e riduzioni della larghezza di banda. La nuova legislazione richiederebbe inoltre ai fornitori di social media di archiviare i dati degli utenti in Turchia. I critici sottolineano che la legge limiterà ulteriormente la libertà di espressione in un paese in cui i media sono già sotto stretto controllo del governo e dozzine di giornalisti sono in prigione.
LA STAMPA IN TURCHIA – I molti arresti che si sono susseguiti negli anni tra gli esponenti della stampa turca hanno prodotto un effetto paralizzante sulla libertà di espressione. Nel periodo dell’emergenza coronavirus questa situazione ha subito un’escalation, come dimostrano gli ultimi dati del ministero dell’Interno turco risalenti allo scorso maggio. Il ministero ha vagliato più di 6 mila profili sui social media e ha bollato come individui sospetti più di 800 persone, di cui la metà di questi utenti sono stati arrestati con l’accusa di aver postato sui loro account commenti provocatori a proposito del covid-19. Come dimostra l’ultima legge approvata, la morsa del controllo si stringe ancora di più sulle piattaforme social e della libertà di espressione.
Per quanto riguarda la stampa, che ha risonanza pubblica e diversa, i giornalisti e gli attivisti sono stati esclusi dalle misure introdotte a metà aprile per alleggerire il sovraffollamento delle carceri. Mentre quasi 100 mila detenuti hanno potuto godere della libertà vigilata o dei domiciliari, centinaia di giornalisti e difensori dei diritti umani sono rimasti in prigione, con accuse che vanno dall’affiliazione terroristica alla sovversione.
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