Questa non è Ibiza
Lizzano In Belvedere, poesia e memoria
L’appennino Tosco-emiliano non è Cortina d’Ampezzo, ma è possibile cogliervi quel tanto delle nostre radici che lo rende qualcosa di unico
Io non ricordo la prima volta che ho affrontato la Porrettana per arrivare a Lizzano in Belvedere. Non lo posso ricordare perché penso di essere stato ancora in fasce e di essere stato cullato nell’auto dei miei genitori dalle ricorrenti curve che portano al paesino di montagna dei miei nonni, Romeo ed Elda, alle pendici del Corno nella splendida Val Carlina che comprende i comuni di Lizzano in Belvedere, Porretta, Gaggio Montano e Castel d’Aiano. Ancora oggi, dopo 67 anni, ogni volta che mi reco nella montagna la nostalgia mi assale: nostalgia per un’epoca fatata della mia giovinezza, per i giochi dei bambini che mi sembravano centinaia durante le vacanze estive ma che forse erano molti meno.
In realtà è capitato anche che, dopo una broncopolmonite, svernassi con i miei nonni, seguito dal maestro elementare del luogo per non perdere troppo del programma di scuola. Penso fosse la mia seconda elementare e ricordo sempre questo mio inverno montanaro come un’epoca spensierata. A Lizzano mi legano tanti ricordi. Penso alle passeggiate con mio nonno Romeo verso i sentieri della Volpara, un bosco a qualche chilometro da lì, e ai racconti della sua emigrazione, quando da un piccolo paese di montagna era partito con la sua famiglia e i suoi sette fratelli verso gli Stati Uniti d’America alla ricerca di un po’ di fortuna e di una dignitosa sopravvivenza.
Ho ritrovato anni dopo a Ellis Island, durante una visita ufficiale da Presidente della Camera, il certificato di sbarco della famiglia Vai di Lizzano. Una storia segnata da un dramma terribile poiché uno dei suoi fratelli morì proprio durante questo viaggio sotto a un treno nei pressi di Philadelphia.
Oggi, non avendo perso del tutto la mia innata voglia di giocare, quando mi inerpico con l’auto sulla Porrettana faccio il gioco di immaginarmi le curvature della strada e i dossi che incontrerò nei rettilinei successivi.
Ho detto ai miei figli che, se chiudessi gli occhi, potrei guidare tranquillamente senza andare fuori strada, tanto la conosco.
Ci salivo da bambino con i miei genitori; ci salivo da candidato e da parlamentare nella Prima Repubblica e, con minore frequenza ma con lo stesso stato d’animo, ho continuato a percorrerla in tutti questi anni. Ci salgo questa estate per una bella passeggiata al Corno alle Scale.
L ‘Appennino tosco-emiliano non è né Cortina d’Ampezzo né Courmayeur. Non ha il carisma delle grandi località della movida estiva o invernale, ma vi garantisco che è possibile cogliervi quel tanto delle nostre radici che lo rende qualcosa di unico.
Su queste strade ho camminato con tanti amici che non vi sono più: il primo è Marco Biagi che ricordo come fantastico sciatore e come grande tennista: il migliore di noi ragazzi secondo il parere un anime della giuria dei genitori, il più bravo nello sport e nella scuola, l’esempio da trasmettere a tutti gli altri.
E poi tanti sindaci a partire da Arnaldo Brasa ed Emanuele Vai, testimoni di una stagione eroica dove i paesi della linea gotica si erano via via trasformati in località amene di villeggiatura. Era l’epoca di Enzo Biagi, l’indimenticabile giornalista che, nonostante i grandi successi professionali, non ha mai dimenticato un’estate la sua Pianaccio dove qualche mese fa abbiamo accompagnato per l’ultimo saluto anche la figlia Bice.
Ci sono tanti Biagi a Lizzano in Belvedere come tanti Vai…. i cognomi si ripetono, sono sempre gli stessi. L’amore per la montagna ha tenuto queste grandi personalità sempre vicine al loro Appennino e nelle estati, chi più chi meno, tutti ci hanno ancora cercato rifugio.
La mia mamma oggi non ha più tanta voglia di salire nella sua casa di un tempo: “I miei amici non ci sono più – ripete spesso – mi viene tristezza”. In fondo la capisco perché ripercorrere i sentieri della giovinezza non è sempre facile.
Ma non dimentico i suoi racconti di quando viveva l’intero inverno a Monte Acuto, il borgo forse più suggestivo del Comune di Lizzano, poiché prestava servizio come insegnante elementare in quella piccola scuola.
Era difficile allora percorrere con la sua lambretta durante le giornate invernali i 10 chilometri che la separavano dalla casa dei suoi genitori, sotto il ghiaccio e la neve. Tornava a casa il venerdì, eppure a vedere le cose oggi sembra un po’ assurdo e ridicolo: sono 10 minuti in auto…
Ho ancora nel cuore i suoi mitici ricordi dei primi grissini o delle prime cioccolate ricevute dai militari della X Brigata di montagna dell’esercito degli Stati Uniti che erano arrivati per liberare la nostra montagna. Ho a casa una forchetta con il marchio dell’esercito americano, cimelio che ha superato il corso di tutti questi anni e che, per noi familiari, oggi è il simbolo di quello che ha passato il nostro Paese.
Senza i nostri alleati anglo-americani nulla sarebbe stato possibile e ciò dobbiamo sempre ricordarcelo.
Da Bologna a Lizzano, dopo Sasso Marconi, si passa per Marzabotto e si costeggia il Sacrario con i resti delle migliaia di vittime: il ricordo non può non andare al terribile eccidio compiuto dalle truppe nazifasciste nell’autunno del 1944, uno degli episodi più efferati della violenza dei nostri occupanti, barbarie che nessuna falsificazione storica può manipolare.
Sono tutti luoghi in cui la bellezza della natura incontaminata si fonde con la storia. Ogni stradina lastricata, ogni sentiero di montagna, ogni casetta in pietra ci racconta di un passato carico di memoria.
Fra questi boschi rigogliosi, prati verdi e vette montuose si respira la calorosa accoglienza della gente del posto e ci si immerge con naturalezza nei sapori autentici della cucina emiliana e nella spensierata allegria di antiche tradizioni locali. Per questo mi piace ritornare qui, luogo di poesia e di memoria.
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