Tutte le differenze tra i laburisti di Starmer e i progressisti italiani: ma qualcuno non vuole vederle

La vittoria del Labour Party di Keir Starmer nel Regno Unito ha ridato fiato alla sinistra italiana che guarda al modello inglese per tornare al potere e riavere la maggioranza del Paese. Dovrebbe essere chiaro, però, che esistono profonde differenze tra il Labour di Starmer e il “blocco” formato dalla sinistra italiana. Basti pensare, ad esempio, al repulisti che ha fatto Starmer nel partito mettendo alla porta antisemiti, estremisti di ogni genere e dando una chiara collocazione atlantista alla sua compagine. Cosa che, in Italia, è assai più complessa. Non solo nel Partito Democratico convivono anime ideologiche agli antipodi (ad esempio i pacifisti anti atlantisti e i fedeli alla linea Nato, gli attivisti “Pro Pal” e gli amici di Israele), ma nel fronte progressista ci sono partiti le cui posizioni ideologiche estreme sono difficili da conciliare.

Analizzando il programma economico, quello proposto da Starmer sembra più in linea con una visione liberale e mercatista della società piuttosto che con una forza della sinistra tradizionale. Anzitutto, il Labour prevede di raccogliere nuove entrate per 8 miliardi evitando di incidere sulle tasche dei cittadini grazie a cambiamenti relativi all’Iva, alla tassazione degli operatori economici non domiciliati e alla seria lotta all’evasione. Guai a parlare di patrimoniale: è un argomento del tutto tabù per gli inglesi. Secondo Rachele Reeves, probabile futuro “ministro dell’economia”, il governo laburista “non imporrà una patrimoniale, non aumenterà le tasse sui redditi più elevati e presterà profonda attenzione alle aziende”. Già questo elemento serve a marcare una profonda differenza con i progressisti italiani visto che, ad esempio, Maria Cecilia Guerra, responsabile Lavoro della segreteria PD in un’intervista a La Stampa dello scorso 17 gennaio invoca una “revisione delle tasse sui patrimoni” per redistribuire “meglio la ricchezza”. Senza contare i rappresentanti di Sinistra italiana, come il leader Nicola Fratoianni, che invocano una “next generation tax, che colpirebbe i patrimoni delle persone fisiche solo se superiori ai cinquecentomila euro”.

In linea con chi lo ha preceduto, la politica sui migranti di Starmer sarà molto dura tanto è vero che il programma prevede la creazione di un comando per le Frontiere e la Sicurezza, con un budget iniziale di 75 milioni di sterline. Obiettivo: contrastare radicalmente l’immigrazione irregolare. Questo provvedimento non vede alcun intervento simile nel campo progressista italiano dove la materia “immigrazione” è trattata sempre con un atteggiamento ambiguo e poco lungimirante. Da un punto di vista delle politiche di bilancio, la differenza notevole tra la sinistra italiana e quella oltre Manica riguarda gli impegni negli investimenti della Difesa. Nel suo programma, infatti, il Labour conferma l’impegno a destinare il 2,5 per cento del prodotto interno lordo alla Difesa e alla collaborazione con la Nato. Nel fronte progressista italiano, invece, questo è un argomento profondamente divisivo. Mentre il Partito Democratico appare possibilista, Sinistra Italia, Verdi e Movimento Cinque Stelle sono contrari ad ogni aumento della spesa pubblica destinata alle armi.

Per quanto concerne la spesa sociale, inoltre, il Labour vede nella crescita della ricchezza il modo migliore per finanziare il Welfare State piuttosto che introdurre balzelli, imposte e tasse come invece prevede il programma della parte politica omologa in Italia. Tanto è vero che è stato il Wall Street Journal, non di certo un tempio della cultura marxista, a spiegare che “è meglio per il Paese se il Labour è un partito moderato di centrosinistra che vede nella crescita economica, e non nella redistribuzione del reddito, il motore delle opportunità della classe operaia”. Ancora, Starmer è molto prudente per quanto concerne i programmi di nazionalizzazione giudicando più opportuno che lo Stato si occupi di poche e chiare materie piuttosto che buttarsi a capofitto nell’economia. La sinistra inglese non prevede un aumento della spesa pubblica: ogni intervento deve trovare la sua fonte di finanziamento in risorse già a disposizione del Paese. Tra il Labour e i progressisti italiani ci sono certo dei punti di contatto, come il piano per la creazione di alloggi, la difesa del lavoro e della sanità pubblica, ma gli approcci per la loro realizzazione sembrano essere molto diversi.