Election Day -5
Tutte le incertezze di Kamala Harris: le minoranze, i cattolici e l’immigrazione. La candidata che parla per slogan e si trincera dietro il suo staff
La campagna elettorale entra negli ultimi decisivi giorni, con i candidati impegnati ad evitare quell’errore che potrebbe essere fatale e costare qualche migliaio (forse meno) di elettori decisivi in uno dei sette Stati in bilico su cui nessuno, neanche i più ottimisti, si azzardano in previsioni che potrebbero essere smentite. Il 2016 è ancora vivo nella memoria dei commentatori politici e uomini impegnati nell’una o nell’altra campagna. Ottimismo che sicuramente è fortemente aumentato in campo repubblicano, provocando un consequenziale quanto inevitabile ridimensionamento sul fronte democratico.
I sondaggi preoccupano e non poco lo staff di Kamala Harris che si vede a cinque giorni da voto appaiata a Trump con una leggera flessione – almeno quella fotografata dai sondaggi – che la vede perdere terreno, con il Tycoon che sembra rinvigorito con una sua narrazione chiara agli elettori. Chiarezza che alla Harris viene contestata e che lei non è riuscita a mettere in mostra nelle sue ultime uscite pubbliche, compreso il comizio di Washington, che doveva essere la risposta al Madison Square Garden e che invece, almeno sul piano dell’immagine, non ha sortito lo stesso effetto.
Solo slogan
Non si governa con gli slogan, ed è questa uno dei tanti dubbi dell’elettorato incerto, indeciso e in una situazione di polarizzazione come quella americana, sempre più determinante. Cosa pensa realmente Kamala Harris è una domanda che si fanno in tanti, e in un certo senso non basta la frase “io ho un piano” ripetuta ossessivamente durante il dibattito con Donald Trump. Ma qual è questo piano? Che America immagina Kamala Harris? Difficile da intuire, se non tramite qualche richiamo alla sua esperienza, all’idea “ottimistica” di un progetto per l’America, quando si porta sulle spalle il peso di un’inflazione che colpisce quella classe media che la Harris ha voluto raccontare e interpretare, senza però costruire una sua narrazione, ad oggi tutti conoscono lo slogan di Trump, dentro e fuori l’America, tutti ricordano quello dello “Yes, we can” di Barack Obama, ma nessuno o quasi quello di Kamala.
I media
A prescindere dal quello che sarà il risultato finale, Kamala Harris e il suo staff non hanno saputo gestire il rapporto con i media. Se da una parte hanno beneficiato di una campagna di stampa dai toni acclamatori e trionfalistici sin da quando si è capito che sarebbe stata lei la candidata prescelta dal partito, è altresì vero che Kamala Harris si è concessa a poche interviste, solo concordate, senza mai dare sfoggio della sua spontaneità, che a volte in termini elettorali paga anche più di molte sofisticate strategie, quell’empatia che porta il candidato ad entrare in stretta connessione con gli elettori soprattutto quelli più duri da convincere e più delusi dalla politica, e negli Stati Uniti non mancano.
Le poche interviste di Kamala non sono state un grande successo, la prima alla CNN fu un “disastro” come lo etichettarono molti commentatori, quella da Oprah Winfrey è ricordata solo per la sua ammissione di essere “armata” e pronta a sparare per difendere la sua cosa. Suscitando non poche perplessità nel partito democratico delle “coste”. La sua uscita sulla Fox, il principale Network conservatore, è stato un plotone di esecuzione a cui lei ha saputo rispondere sempre e solo a colpi di slogan. In tutto questo nessuna intervista aperta, nessuno scambio di battute con la stampa. Tutto rinchiuso nelle dichiarazioni dello “staff”, ammesso dalla stessa Harris sempre da Oprah dopo aver percepito il passo falso e prima di eccedere nella solita risata stereotipata dagli avversari, con un semplice “ci penserà il mio staff”.
Tutto questo non aiuta, soprattutto quando hai un avversario che di difetti ne ha molti, ma sa fare notizia e sa come “usare” i media, facendo credere abilmente di esserne usato. Trump ha saputo aspettare che il vento della pro Harris raggiungesse il suo massimo, per ricalibrare la strategia, tornando così ad una “narrazione”, la sua appunto. C’è l’America di Trump e quella di chi è contro Trump, ma esiste l’America di Harris? Oppure Kamala è la campionessa di quell’America, scelta perché sacrificabile, oltre che per beneficiare dei fondi della campagna di Biden. Sono solo alcuni degli interrogativi che all’inizio pensavano su Harris e ora sono tornati prepotentemente a rimbalzare nel dibattito alla vigilia del voto.
Le minoranze
Altro tema su cui Kamala Harris doveva garantire una granitica certezza era il tema minoranze, ed un quesito al quale potremo rispondere solo alla fine di questa campagna elettorale, ma di certo vista l’analisi dei flussi non sembra dare certezze ai democratici. Sul tema immigrazione, caro alle minoranze, Kamala Harris è apparsa troppo incerta e tante sono state le giravolte fatte da lei nel corso degli anni e anche della campagna elettorale stessa. Pesa su Harris anche il suo essere stata depositaria senza successo del “dossier immigrazione” dell’Amministrazione Biden e i risultati non sono stati entusiastici, come indicano i dati.
Sugli ispanici non è riuscita a far presa, troppo distante dai temi di una comunità fortemente cattolica e poco incline all’agenda woke, di cui Harris è indubbiamente portatrice. Persino sugli Italo americani non è mancato lo scivolone di Harris che non ha voluto prendere parte al Columbus Day, caro alla comunità, ma osteggiato da Black Live Matter e movimenti pro nativi, sempre strettamente connessi all’agenda woke. Tutti voti che Harris doveva blindare. Sul fronte cattolico, quattro anni fa coperto dall’essere cattolico di Joe Biden, Kamala Harris si è posta non male, malissimo. Le sue esternazioni pro aborto in senso radicale, hanno peggiorato la percezione di un elettorato che in parte ha sempre favorito i democratici.
Dov’è Ivanka?
Intanto il NYT si chiede che fine abbia fatto Ivanka Trump, super presente nelle elezioni di quattro e otto anni fa e oggi grande assente, e pubblica notizie di possibili intrusioni illegali dei cinesi nelle comunicazioni di Trump, Vance e anche dello staff di Kamala Harris.
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