Contro il disegno di legge n. 969 (legge attuativa della direttiva UE 2016/343) si sono scagliati gli Ordini dei Giornalisti qualificando il testo come ‘legge bavaglio’ che lede il diritto dei cittadini ad essere informati, in particolare nel campo dell’attività giudiziaria”. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) addirittura ha promosso un appello al Presidente della Repubblica perché non firmi la legge di delega in quanto si tratta di “un provvedimento autoritario gravissimo che non solo colpisce e limita il lavoro dei giornalisti, ma soprattutto il diritto dei cittadini di essere informati e rende più indifese le stesse persone private della libertà. Di conseguenza dal momento dell’arresto fino al processo, all’opinione pubblica per mesi sarà negato il diritto di essere informata su temi importanti come la lotta alla corruzione e la lotta alla mafia. A questo si aggiunge anche il recente provvedimento che limita l’utilizzo e rende incomprensibili le intercettazioni in quanto verranno oscurati con omissis i nomi delle persone non indagate.” Dunque “un provvedimento liberticida”. Difficile dire se tali prese di posizione siano frutto di malafede o di ignoranza. In ogni caso, denotano il provincialismo di chi non ha mai preso in mano un giornale straniero e cercato di comprendere se in altri paesi i provvedimenti di arresto (e le eventuali intercettazioni) possono essere pubblicate.

Nel Regno Unito – vista in Europa come la culla della libertà di stampa – la regola è che, tranne in casi eccezionali quando vi è un immediato rischio per la generalità, i nomi o i dati identificativi di una persona arrestata o sospettata di un reato non devono essere forniti alla stampa o al pubblico. E queste istruzioni sono date anche alle forze di polizia.

In Svizzera l’art 73 del c.p.p. impone un divieto generale di segreto sugli atti giudiziari che viene rigorosamente imposto fino al processo.

In Germania sia la Corte di Cassazione che la Corte Costituzionale hanno ripetutamente affermato (si veda di quest’ultimo consesso la sentenza 5.6.1973) che “l’interesse a ricevere l’informazione non è assoluto. L’importanza centrale del diritto della personalità richiede non solo rispetto della sfera intima e inviolabile [della persona accusata], ma anche una stretta osservanza del principio di proporzionalità. L’invasione della sfera personale è limitata al bisogno di soddisfare adeguatamente l’interesse [del pubblico] a ricevere l’informazione, mentre il danno arrecato alla persona accusata deve essere proporzionato alla gravità del reato o alla sua importanza per il pubblico. Di conseguenza, non è sempre consentito diffondere il nome o l’immagine o usare altri mezzi per identificare la persona”. E la Corte di Cassazione, in questa operazione di bilanciamento ha ritenuto che la diffusione sia lecita quando, esemplificativamente, l’accusa riguardi un reato grave e non uno di minore entità; quando la persona accusata sia una “figura pubblica”; quando il nome della persona accusata è già nel dominio pubblico. A seguito di tale orientamento giurisprudenziale l’art. 8.1. delle Linee-guida contenute nel PresseKodex emanato dal Consiglio della Stampa tedesca stabilisce che, come regola generale, gli organi di stampa “non devono pubblicare alcuna informazione a carattere verbale o figurativo che permetta l’identificazione della vittima o degli autori di un reato”.

In Austria l’art. 7a del Mediengesetz prevede che il nome e l’immagine di una persona vittima o sospettata di un reato non possano essere pubblicati “ogni qualvolta ciò determini la lesione di interessi meritevoli di tutela del soggetto e non sussiste un interesse pubblico predominante, in considerazione dello status dell’individuo o di altre circostanze”.

In Lussemburgo la legge 8.6.2004 sulla libertà di espressione nei media pone limiti stringenti a tutela della presunzione di innocenza.
Se ci si muove al livello CEDU, poi, non si può ignorare la sentenza Sciacca c. Italia resa l’11.1.2005 dalla Corte di Strasburgo che ha ritenuto che violasse l’art. 8 della Convenzione la diffusione da parte della Procura di Siracusa della fotografia di una persona arrestata. Nonché la Raccomandazione 13 (2003) del Consiglio d’Europa sui “Principi relativi alle informazioni fornite attraverso i mezzi di comunicazione in rapporto a procedimenti penali”.

L’art. 2 (“Presunzione di innocenza”) di tale Raccomandazione stabilisce che “Il rispetto del principio della presunzione di innocenza costituisce parte integrante del diritto ad un giusto processo. Ne consegue che pareri e informazioni relativi a procedimenti penali in corso dovrebbero essere comunicati o diffusi dai mezzi di comunicazione soltanto se ciò non pregiudica la presunzione di innocenza della persona sospettata o imputata di un reato”. E l’art. 8 (“Tutela della privacy in rapporto a procedimenti penali in corso”) precisa che “Nel fornire informazioni relative a persone sospettate, imputate o condannate oppure ad altri soggetti coinvolti in procedimenti penali si dovrebbe rispettare il diritto di tali persone alla tutela della privacy, conformemente all’Articolo 8 della Convenzione. Particolare tutela dovrebbe essere fornita ai soggetti coinvolti che siano minori di età e ad altri soggetti vulnerabili, nonché alle vittime, ai testimoni ed ai familiari di persone sospettate, imputate o condannate. In ogni caso, si dovrebbero tenere particolarmente presenti le conseguenze nocive che possono investire le persone di cui al presente Principio a seguito della rivelazione di informazioni tali da consentirne l’identificazione.”

Come si vede, a seguire i giornalisti, “leggibavaglio”, “autoritarie”, addirittura “liberticide” sarebbero in vigore in gran parte dell’Europa.

Vincenzo Zeno Zencovich

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