Guardando le immagini del G20 con i vecchi e nuovi grandi della Terra, ma anche con i medi e i giganteschi come Biden e Xi Jinping, il confronto viene immediato. Che cosa avrebbe fatto, come si sarebbe comportato, quali arti da giocoliere dell’attenzione e della seduzione avrebbe giocato Silvio Berlusconi in un consesso del genere? Il confronto con Giorgia Meloni è inevitabile: l’unica donna premier di questo consesso indonesiano in cui i protagonisti scendono dalla scaletta dell’aereo accolti da un gruppo di danzatrici che si contorcono sensualmente in una danza, è la nostra presidente del Consiglio alla sua prima uscita nel gran galà del pianeta devastato dalla guerra attale e quella possibile, dalla carestia, dalle emergenze umanitarie, dall’inflazione, dalle minacce di altre guerre e la necessità di affrontare così grandi problemi comuni.

Berlusconi fu messo sulla graticola all’inizio della sua Presidenza perché sia era creato un asse fra le sinistre italiane e tutti i circoli della gauche al caviale internazionale. In quei consessi Berlusconi usava le sue armi di charmeur e di moderato, di uomo apparentemente nuovo, ma in realtà grande esperto di comunicazione e di competenza industriale. Un personaggio così arcitaliano, così lombardo ma anche così romano – fra le canzoni di Charles Trenet e quelle di Apicella – ma poi anche capace di affrontare bilanci e intese e alleanze e feeling che saltano a piè pari le artigliose spigolosità degli snobismi delle élites, fra i quali invece la sinistra italiana si sente perfettamente a suo agio. Fu un accreditamento lungo e profondo, al termine del quale Berlusconi sarebbe diventato un leader europeo. Sulla Meloni niente da dire invece. Se non che è indaffarata e si comporta con la dignità impacciata della studentessa modello ed è ovviamente molto compresa nel suo ruolo. Ma è anche molto principiante. E però con quell’aria acerba di chi sa di partire con un handicap, nel senso di uno svantaggio di partenza come nelle corse dei cavalli. Tutti sanno che le sue radici vengono da un genere di terriccio che non è quello più fecondo, ma poco importa perché in definitiva quel che conta sono i fatti e vedere se e che cosa dice.

Intanto tutti hanno visto però i primi guai: la rottura con Macron facendo una gaffe da borgatara, seguita dalla correzione di Mattarella che ha dovuto prendere il suo posto, spingersi oltre i suoi stessi confini. Dire a Macron qualcosa come “scusaci tanto, è ancora in rodaggio non ci fare caso, tanto non conta, chi conta sono io”. Sgarro costituzionale, ma necessario, per porre rimedio a imperizia e faciloneria. Con Berlusconi ci provarono, ma dopo una terribile guerra mediatica finì con una sua vittoria perché il presidente del centrodestra liberale seppe lavorarsi personalmente tutti i leader, dall’americano George Bush al russo Vladimir Putin che sembrava, all’inizio del XXI secolo, l’enfant prodige della nuova Russia, un europeo che in ottimo tedesco pronunciava in Germania un discorso sulla cultura russa in quanto europea. E poi le incomprensioni con Angela Merkel superate in souplesse malgrado l’arroganza di Sarkozy che mentre faceva lo sprezzante con Berlusconi si faceva finanziare da Gheddafi. Lo stesso Gheddafi contro il quale mosse guerra e con poca eleganza portò alla morte, arrecando danni immani alla politica estera italiana in fatto di emigrazione e di approvvigionamenti energetici.

Insomma, il Berlusconi che è stato messo sulla graticola, sbertucciato dai comici, bersagliato da una sessantina di missili giudiziari, attaccato da intellettuali poi pentiti e dal generone della borghesia superciliosa, è un leader storico la cui visione è quella super liberale e anche giocosamente libertina di un’Italia della ricostruzione e dell’identità spontanea ma mai, assolutamente mai ingenua. Non vogliamo impegnarci nei confronti e dire “E invece la Meloni”. La Meloni ha voluto la sua bicicletta, e adesso deve pedalare, cadendo e rialzandosi, facendo esperienza e trovando che i suoi elementi di appeal, quelli per cui raccoglie tanto elettorato e tantissima audience, sono quelli di una figura che gli italiani adorano: quella di chi “non gliele manda a dire”, di chi sbatte i pugni sul tavolo (in genere a Bruxelles) e caccia gli emigranti, e fa “booh” ai ragazzacci dei rave, e promette ordine e legge, legge ed ordine, ma poi è statalista e manettara come tutta la storia del fascismo e del post fascismo era ed è: statalista, con populismo sociale incorporato, sa fare la faccia feroce quando parla alle proprie folle o a quelle spagnole con toni più isterici che duceschi e faccia da “Chi? io?”, ma con un background di romanzi per ragazzi di Tolkien con Frodo, il Signore degli anelli e le Terre di Mezzo insidiate dagli orchi che sbarcano sulle nostre coste.

Non mi vergogno a citarmi, ma ho scritto un libretto sfortunato perché uscito mentre scoppiava la guerra in Ucraina (che dirottò l’attenzione sul Covid e da ogni altro argomento) intitolato La Maldestra: quella italiana che non può stare insieme come l’acqua con l’olio e una dose di mercurio perché in parte origina da quella liberale ereditata grazie a Berlusconi dai partiti che ricostruirono l’Italia dopo l’operazione Mani Pulite che strozzò la cosiddetta Prima Repubblica; e in parte è illiberale perché populista e sovranista, con un pizzico di post-fascismo, molta nostalgia degli anni Settanta quando si sparavano Brigate Rosse e Brigate Nere. Una destra che non ha niente a che fare nemmeno con il sogno federalista di Umberto Bossi per quello che riguardava la gloriosa Lega Nord, quella di “Roma ladrona” e delle barzellette sui terroni. Non si tratta soltanto del fattore umano, ma anche umano. In più, ci sono di mezzo i valori fondamentali della spensieratezza contro la grintosità, della vitalità contro la cupezza, dello statalismo contro la libertà d’impresa, della totale, colpevole, deprimente mancanza di senso dell’umorismo contro l’Italia della commedia laboriosa del miracolo economico, un piccolo borghese e un po’ mi saluti la sua signora, con i suoi Alberto Sordi e Gino Bramieri, i piccolo borghesi che però sono, erano, grandi borghesi, dei costruttori e capitani d’azienda, fra cui anche e lui, il Berlusconi di Milano Due, della trovata delle videocassette per rifornire i film nei paesini su per le montagne.

Quelle due Italie non sono neanche di destra. Quella liberale è liberale, ha bisogno di libertà di mercato, viaggi, contaminazioni, esportazioni, invenzioni. Quella illiberale non ride mai, è cupa, pronta a ringhiare, perché ringhiando si alleva l’italiano dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini che oggi potrebbe essere Giuseppe Conte, quello che apprezza chi urla, fa la faccia feroce, mette depressione con l’istinto alla repressione e non vede l’ora di cacciare chi cucina con troppa cipolla, senti che puzza. Finché si tratta di amministrare città e regioni, passi: queste destre che non hanno quasi nulla in comune possono far finta di essere unite dallo spirito pratico che però non ha niente di ideologico e neanche di ideale. Ma quando si tratta di fare sul serio, le due destre, quella liberale e quella illiberale, non si tollerano e lo si è visto subito, col primo Consiglio dei ministri che, pur potendo evitare la faccia feroce ha fatto subito la faccia feroce, salvo ammettere di gran carriera che bisognava rifare subito i decreti-legge in Parlamento. La politica estera, profondamente ferita dal conflitto in l’Europa si è poi, per quanto ci riguarda, fatta subito male in una zuffa insensata con la Francia, che ha colpe enormi quanto a immigrazione, ma che è un Paese con cui era stata costruita con pazienza una alleanza non solo di facciata. Tutto in malora perché la piccola Presidente della scuola Montessori ancora non sa giocare con gli adulti.

Ed è ormai uno spettacolo che vedono tutti i pezzi non stanno insieme perché l’Italia liberale, tenuta in vita da Berlusconi e purtroppo ridotta ai minimi termini per la costanza della pressione giudiziaria e dei vuoti che hanno messo in fuga il voto dei cosiddetti moderati, non si combina né per stile né per contenuto con l’altra, se non vagamente per bacino di elettori che però sono molto volubili. E i risultati sono sotto gli occhi: Berlusconi non vuole essere coinvolto nelle scelte anti-emigranti tenuti a mollo. Così gli passa la voglia. I liberali, o come più vi piace chiamarli, sono incavolati perché l’ordine delle priorità è quello delle bollette e del carovita e non delle scenate internazionali da cui usciamo con le ossa rotte. I due partiti che si rubano la scena sono Fratelli d’Italia e Lega che infatti hanno raggiunto un accordo, tanto sono quasi identici, mentre Forza Italia distingue, si separa, corregge, emenda, sta scomoda, ha la faccia tirata e siamo solo agli inizi.

In panchina si scaldano soddisfatti Renzi e. Calenda, ma sono riscaldamenti senza muscoli perché l’elettorato della protesta illiberale non li prenderebbe mai molto sul serio, ma ci sono come ruota di scorta perché quella sembra che sia la loro missione. La Maldestra sta male e non è destra nello stesso modo e questo manda in bestia Berlusconi che avrebbe voluto che gli fosse riconosciuta la leadership di chi ha il brevetto, ma Giorgia Meloni, giustamente dal suo punto di vista che coincide soltanto col suo punto di vista, vuole imparare tutto da capo anche se ci portasse a sbattere. Dunque, il governo c’è, ha i voti, ma manca sia il propellente che il collante per affrontare il videogame della realtà che è scosceso e richiede piloti esperti per non andare finire oltre il guard-rail, sul ciglio del burrone.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.