La grancassa del maxiprocesso con mille partecipanti su un territorio di tremila metri quadri è sempre più roboante e viene annunciata ogni settimana con almeno un’intervista al procuratore Nicola Gratteri, che non soffre certo di crisi di astinenza. Una sguaiataggine continuata che pare non turbare i sonni di quel Consiglio superiore della magistratura che dovrebbe rinnovarsi dopo lo scandalo di Luca Palamara e dei suoi (tanti) amici, e invece si comporta come se avesse avuto solo una varicella dell’infanzia. Perché non è tollerabile che un’inchiesta come “Rinascita Scott” (un titolo che sembra il programma di Licio Gelli), che è solo nella fase iniziale di chiusura delle indagini e non è ancora nelle mani di un Gip/Gup, venga “venduta” ogni settimana un tanto al chilo come il processo del secolo. Già pronto con 500 imputati, più qualche centinaio di difensori e di parti civili per partecipare al grande circo del maxiprocesso contro la ‘ndrangheta. Naturalmente con grande enfasi sul “nuovo volto” della criminalità organizzata calabrese, che consisterebbe nell’aver messo le mani “sull’area grigia dei colletti bianchi” e la massoneria deviata, che non manca mai in un’indagine destinata alle prime pagine.

Questa volta l’onore dell’intervista è toccato a un cronista della Stampa e alla sensibilità particolare del suo nuovo direttore. Ai quali evidentemente manca l’alfabeto delle regole processuali. Del resto se ne è privo, come dimostra la sua passività, anche il Csm! Come può un pubblico accusatore, prima che la sua ipotesi sia stata vagliata da un giudice, sapere se ed eventualmente quanti indagati diventeranno imputati? L’inchiesta “Rinascita Scott” del resto è già stata abbondantemente sfrondata nei suoi primi passaggi processuali, con la revoca, da parte sia del gip che del tribunale del riesame che della cassazione, dei due terzi degli arresti della famosa retata del 19 dicembre 2019. Il che significa, prima di tutto, che le manette non erano necessarie. E se non erano necessari, quei fermi furono dei soprusi. Inoltre, dove sono la famosa “area grigia” dei colletti bianchi e la massoneria deviata? Sia l’avvocato Giancarlo Pittelli che il suo collega Francesco Stilo (di cui riparleremo, perché per le sue condizioni di salute la detenzione in carcere è uno scandalo) hanno già visto la derubricazione del reato di associazione mafiosa in “concorso esterno”. Cioè aria fritta, in un Paese normale. Ma è impressionante il fatto che Nicola Gratteri non parli mai come un magistrato, ma piuttosto come un condottiero. Inizia l’intervista con un “Abbiamo alzato il tiro” e conclude con “andiamo avanti”. In mezzo, oltre a disquisizioni che stanno tra il sociologico e lo psicologico, c’è la solita lamentela un po’ intinta nella vanagloria di chi si sente accerchiato perché con la sua inchiesta è andato a toccare i “piani alti”. Ora, con tutto il rispetto per qualche avvocato o assessore fuori dalla politica da una quindicina d’anni, di quali centri di potere stiamo parlando?

E il Csm, che ha liquidato in dieci minuti l’ex procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini, non ha niente da ridire sul fatto che si prepari un maxiprocesso (che dovrebbe essere vietato in quanto incompatibile con il sistema accusatorio) senza neppure un solo rinvio a giudizio? Eppure la carriera del dottor Gratteri parla chiaro, e soprattutto parlano chiaro certe sue frettolosità procedurali. Tanto che nel 1997, quando forse il Csm era più attento di oggi, e quando il procuratore era un semplice sostituto a Locri, gli fu inflitta un’ammonizione per il fermo, non motivato da un concreto pericolo di fuga, di un poliziotto. Una violazione di legge “macroscopica – diceva il provvedimento del Csm – perché dimostrativa di una insufficiente e confusa conoscenza di norme fondamentali del codice di rito”. Appunto.

Del resto, il florilegio è abbondante. Possiamo partire dalla retata in diretta dell’inchiesta chiamata “Marine”, quando migliaia di agenti accerchiarono l’intero paese di Platì e ci furono 125 arrestati, di cui, al termine dei processi, solo 8 condannati, dei quali 5 per lievi reati. Per passare poi al processo “Circolo formato”, quando fu arrestata l’intera classe politica di Gioiosa jonica e la città fu commissariata. Anche in questo caso i fermati furono poi tutti assolti. E vogliamo parlare della brillante operazione “Metropolis” contro la mafia della Locride, con decine e decine di arrestati tre condannati? Si potrebbero poi elencare tutti gli imprenditori, oltre ai politici, finiti in manette per reati collegati ad ambienti mafiosi e poi scarcerati, come gli amministratori della “Dafne srl”, la cui condotta è stata considerata dal tribunale dei riesame come “integerrima e legittima”.

Ora, che una persona digiuna di diritto (nonostante la laurea in giurisprudenza) come Matteo Renzi volesse Nicola Gratteri come ministro, può non stupire, anche in considerazione del fatto che qualcuno ha poi collocato a quel ruolo Alfonso Bonafede. Ma che tutti i giornalisti italiani continuino a intervistare il procuratore e a dare fiducia a inchieste di cui si sa già che saranno fallimentari, e che il Csm dopo l’ammonizione del 1997 non abbia ancora notato che nonostante la progressione in carriera i metodi sono sempre gli stessi, beh, questo è veramente stupefacente. Per non parlare dl fatto che se un pubblico ministero chiede tremila metri quadri per celebrare un processo fantasma in un’inchiesta in cui non ci sono ancora neppure dei rinvii a giudizio, qualcuno glieli abbia anche già trovati, beh, questo è addirittura preoccupante.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.