Immagina un mondo in cui le informazioni che ricevi su un determinato avvenimento – un fatto di cronaca, un attentato terroristico, un terremoto, una guerra – non siano più fornite da quotidiani, radio, televisioni e relativi canali social di cui conosci il nome, la proprietà ed anche, in qualche modo, l’orientamento politico. Non ci sono più giornalisti che firmano i pezzi o che fanno reportage dal luogo dove il fatto è accaduto, non ci sono più regole deontologiche o leggi nazionali che fissano dei paletti al loro lavoro. No, non sai più chi c’è dietro, non sai neppure se dietro c’è un giornalista oppure uno interessato a far passare una determinata informazione per ragioni personali, politiche, economiche oppure addirittura uno Stato estero, magari non particolarmente amico e magari neppure democratico. O i suoi servizi di intelligence.
Benvenuti nel 2023. Questo è Twitter di Elon Musk. Questo è Twitter della polarizzazione estrema, terra ormai assai fertile non più solo per l’informazione, ma anche per la controinformazione e per la disinformazione. Il fenomeno lo avevamo già visto in parte allo scoppiare del conflitto ucraino, ma gli algoritmi della precedente gerenza di Twitter lo avevano fortemente compresso: avevamo sì assistito alla crescita esponenziale di account anonimi che dicevano tutto e il contrario di tutto (pensate solo alle informazioni totalmente contrastanti sulla strage di Bucha o su singole battaglie nel sud dell’Ucraina), ma ciò che sta accadendo oggi sul conflitto in Medio Oriente non è nulla di immaginabile. Guardiamo i dati. L’account Twitter @visegrad24, che rilancia quotidianamente ed in lingua inglese contenuti sul Medio Oriente a partire da quel tragico 7 ottobre dell’attentato terroristico di Hamas, nei primi 15 giorni di novembre ha fatto una media di 81 tweet al giorno, totalizzando 9,5 milioni di interazioni: nulla a confronto dell’1,1 milioni di interazioni di FoxNews, la televisione conservatrice americana che ovviamente su X-Twitter non parla solo di Israele e Gaza, e ancor meno per pietre miliari del giornalismo internazionale come sono ad esempio l’agenzia di stampa Associated Press (375mila), il Washington Post (280mila interazioni), il New York Times (259mila), l’agenzia di stampa Reuters (249mila) o la CNN (151mila). Eppure noi di questo canale @visegrad24 sappiamo poco o nulla: sappiamo che è gestito dalla Polonia, che era assai gradito al governo di destra polacco e che spesso ha promosso politici conservatori, tra cui Trump, Orban e il presidente della repubblica e il premier polacchi. Ma non sappiamo chi c’è dietro: finora anche i media polacchi di opposizione hanno saputo solo fare congetture, nulla più.
Fake e contenuti forti
Visegrad24 posta quotidianamente contenuti video o fotografici, quasi mai solo testuali, mai con un link; contenuti che non sono mai verificati, che a volte sono vere e proprie fake news, ma che sono sempre contenuti emotivamente molto forti e polarizzanti. Del resto, nell’agosto 2022 fu Visegrad24 a lanciare il famoso video dell’ex premier finlandese Sanna Marin mentre ballava in una festa, video che le procurò non pochi problemi e che molti sostengono fosse stato loro fornito direttamente dal Cremlino, con l’obiettivo di scuotere la Finlandia che stava entrando nella Nato. Visegrad24 non è l’unico account di questo genere. Una ricerca dell’Università di Washington ne ha individuati una decina: tutti account cresciuti a dismisura da quando Musk ha acquistato Twitter, ha licenziato tutti i team di moderazione, ha fatto fuori tutte le policy della precedente gestione che lui definiva liberticide, ha cambiato l’algoritmo e ha introdotto le spunte blu di verificato a pagamento, dando ufficialità ad account in cambio di un centinaio di dollari all’anno.
Gli altri account
C’è @censoredmen, un account che posta video shock dal Medio Oriente, sempre filopalestinese e a tratti filo Hamas (8,2 milioni di interazioni nei primi 15 giorni di novembre); c’è @radiogenoa, che posta spesso disinformazione contro gli immigrati ed è un account esplicitamente xenofobo e islamofobo (specie dopo il 7 ottobre), oltreché omofobo, rilanciato da Elon Musk in un tweet che fu assai criticato a Bruxelles (4,2 milioni di interazioni); c’è @collinrugg, un influencer della destra estrema statunitense e pro-Trump che parla spesso di Medio Oriente (3,9 milioni); ci sono anche molti canali filoisraeliani e che si definiscono “sionisti”. È la stessa ricerca dell’Università di Washington a evidenziare come in realtà nel nuovo Twitter di Musk, parafrasando Oscar Wilde, non è tanto importante come si parli di un evento, se con fake news o con notizie verificate, con toni pacati, esasperati o addirittura offensivi e illegali: l’importante è che se ne parli, l’importante è tenere le persone incollate al cellulare per vedere cose che spesso non vedranno mai sui media tradizionali, perché false o eccessivamente crude.
La polarizzazione totale del dibattito
E l’importante è che ciascuno possa trovare conferma di quelli che tecnicamente si chiamano “bias”, cioè le proprie convinzioni: se sei filo-israeliano troverai così conferma della crudeltà di Hamas e viceversa se sei filopalestinese sarai rasserenato nelle tue convinzioni. La conseguenza è la polarizzazione totale del dibattito pubblico, l’incapacità di parlarsi e trovare una mediazione e infine la difficoltà di far passare un messaggio più articolato di un tweet, con le conseguenze devastanti che in Europa e negli Stati Uniti abbiamo già vissuto nel 2016, quando Facebook – allora colabrodo per la disinformazione – fu strategica per far vincere Trump e Brexit (e il no al referendum costituzionale italiano, aggiungiamo noi).
Marco Fattorini, giornalista e autore televisivo, è tra gli utenti in Italia più attivi su X-Twitter a proposito del conflitto in Medio Oriente. Gli abbiamo chiesto un commento
Muoversi sui social in tempo di guerra è entusiasmante e “pericoloso”. È sempre più difficile fare una scrematura rapida tra notizie vere, propaganda e contenuti vecchi rilanciati per errore o per dolo. Prima di rilanciare contenuti cerco di muovermi alla vecchia maniera, incrociando il maggior numero di fonti. Telegram rappresenta un serbatoio prolifico, che spesso brucia sul tempo tutti. Ma la velocità è un’arma a doppio taglio. Soprattutto in un periodo di guerra, in cui le polpette avvelenate sono all’ordine del giorno. E una volta che la notizia falsa (o decontestualizzata) entra nel flusso, è difficile tornare indietro.
Davide Casati è il responsabile del sito del Corriere della Sera, in prima linea quindi per un importante quotidiano italiano. Ecco il suo commento
Mai, come nel caso della guerra tra Israele e Hamas, ci siamo trovati di fronte a tanti episodi di disinformazione e misinformazione. Per provare ad evitarli, cerchiamo anzitutto di concederci il tempo – il minimo possibile: ma quello necessario – per capire chi stia parlando, con quale agenda, e che cosa replichi l’altra parte in conflitto. Dall’altro lato, consultiamo inviati e corrispondenti sul campo: il ruolo di chi può testimoniare di persona – per confermare, smentire, contestualizzare – è decisivo. Infine, cerchiamo la massima trasparenza nei confronti di lettrici e lettori, specificando l’origine del materiale che viene pubblicato.