E, intanto, Giorgia Meloni vola a Washington
Ucraina, superpotenze in campo: Xi e Biden non puntano sulla caduta russa
Pechino e Washington sono, malgrado le apparenze, già d’accordo almeno su un punto: non puntare sul rovesciamento del regime russo, ma far prendere atto a Putin che l’avventura ucraina non può essere premiata e che costituisce una lezione pagata a carissimo prezzo
Quando saranno davanti al tavolo delle decisioni, Joe Biden dirà a Giorgia Meloni ciò che Gorgia Meloni già sa: “Le abbiamo preparato la mappa per uscire dalla trappola della via della seta, ma senza far perdere la faccia ai cinesi”. La partita adesso si gioca meno sulle bombe e più sul fattore umano, oltre che economico.
La strategia del presidente americano è ormai chiara: far cadere la coesione fra i Brics, con la sua politica del bowling. Giorgia Meloni ha acquisito il biglietto d’ingresso non soltanto per una visita ufficiale a White House, ma l’iscrizione per l’Italia al ristretto club delle nazioni che si riconoscono nell’Occidente liberale: lo stesso cui hanno dichiarato guerra i paesi raccolti sotto la sigla delle loro iniziali: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. La loro alleanza economica è diventata politica con il rifiuto della democrazia occidentale, per mettere fine all’egemonia degli Stati Uniti.
Ma la guerra russa all’Ucraina anziché unificare il quintetto, ha cominciato a sgretolarne le fondamenta quando si scoprì che la Cina non era stata avvertita da Putin e Xi Jinping dando crescenti segni di irritazione al di là dei roboanti slogan unitari. L’India del leader autoritario Modi – che aveva aderito con la previsione di guadagni miliardari con il petrolio russo – ha già cambiato idea ed ha preceduto di qualche giorno la Meloni alla Casa Bianca preparandosi una via d’uscita partecipando immediatamente a massicce esercitazioni militari con gli Stai Uniti. La Cina si è infuriata e Xi Jinping si è reso conto che il mito della grande alleanza antiamericana svaniva.
La Cina ha preso anche atto che il suo programma militare è inutilizzabile e che le sue prospettive economiche sono disastrose. La crisi potrebbe sfociare in una crisi politica e la Repubblica Popolare ha dovuto prender atto di non poter sopravvivere senza vendere i suoi prodotti sul mercato americano. Può farlo in Europa, ma se non vende negli Stati Uniti non ha di che sfamare centinaia di milioni di cittadini. Il realismo ha dunque consigliato Xi Jinping a moderare le sue frequenti crisi di sdegno e bullismo e per dare un segnale simbolico lasciando Pechino per chiudersi nella sua casa delle vacanze dopo che Biden al lo aveva messo di fronte a un’alternativa secca: o affiancare gli Stati Uniti per costringere Putin a mollare l’osso ucraino, oppure prepararsi a una carestia e ad una tempesta sociale che il partito comunista non saprebbe come contenere.
I Brics sono già scompaginati: se Brasile manda segnali di generica convenienza, l’unico paese dei cinque che si è rafforzato è il Sudafrica in piena crescita economica grazie alla vendita di minerali rari per microchip, diventando il miglior alleato della Russia. E infatti Vladimir Putin sta per compiere la prima vista ufficiale per esaltare la straordinaria amicizia di un popolo di lingua inglese schierato contro gli Stati Uniti.
Il governo di Giorgia Meloni ha accettato di dichiarare nulli i preamboli della famosa via della seta e mettere fine all’alleanza così cara ai Cinque Stelle, ma lo farà in modo tale da non umiliare la stessa Cina, su consiglio degli Stati Uniti. Di tutt’altra idea è la Francia di Macron che ha rafforzato ed esaltato i rapporti con Pechino e che, unico paese occidentale, sta rifornendo l’Ucraina con missili a lungo raggio. L’unità di intenti fra Italia e Stati Uniti è emersa fin dagli inizi del governo Meloni e si è andata costruendo gradino per gradino con l’obiettivo di convincere la Cina ad assicurarsi il mercato americano, sua linfa economica vitale, cedendo in cambio la fine del sostegno politico alla Russia.
Pechino e Washington sono dunque, malgrado le apparenze, già d’accordo almeno su un punto: non puntare sul rovesciamento del regime russo, ma far prendere atto a Putin che l’avventura ucraina non può essere premiata e che costituisce una lezione pagata a carissimo prezzo economico, politico e di immagine, senza rischiare la terza guerra mondiale.
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