Che si riesca a individuarli e a punirli, oppure no, essenziale è che sia stata presa una posizione, netta, contro gli autori dei messaggi razzisti. Dopo il match giocato contro il Liverpool, infatti, Destiny Udogie è stato oggetto di una vera e propria pioggia d’insulti a sfondo razziale arrivatagli addosso in seguito a un post pubblicato dal giocatore sui suoi social. Ai tanti complimenti per la prestazione fornita, il giocatore azzurro – Udogie, classe 2002, è nato a Verona da genitori nigeriani ed è cresciuto a Nogara, a due passi dalla città scaligera – è stato travolto da frasi che dir irriguardose è sminuirle che, ovviamente, non sono passate inosservate al mondo del pallone britannico.

A prendere una posizione ufficiale è stato il club in cui è arrivato durante il mercato estivo dopo la trafila nel Verona e il biennio all’Udinese, il Tottenham: “Lavoreremo con la Premier League per, ove possibile, prendere provvedimenti contro gli individui che sarà possibile identificare”, ha scritto la società londinese in risposta a quanto avvenuto ai danni del suo tesserato. Il calcio inglese, del resto, è da tempo impegnato nella lotta al razzismo: oltre all’allontanamento dalle tribune, i protagonisti di comportamenti inappropriati sono perseguiti, anche penalmente, al fine di limitare quanto più possibile un malvezzo comunque difficile da estirpare totalmente. Questa volta, purtroppo, è toccata all’Under 21 italiano. Perché ciò non accada più, l’individuazione degli autori e la loro successiva punizione è la strada maestra scelta per far sì che la lotta al razzismo non rimanga un’enunciazione di principio, ma si trasformi in un sentimento condiviso.

Lo Ius Soli sportivo

Di giocatori stranieri, segnatamente di bambini e ragazzi non ancora maggiorenni, se ne è parlato con grande enfasi negli ultimi giorni anche in Italia, quando il travisato superamento del cosiddetto “Ius soli sportivo” è stato erroneamente interpretato come un appesantimento burocratico capace di mettere a rischio il tesseramento dei minori non in regola con le procedure d’ingresso nel nostro Paese. Dal 2016, infatti, dal decimo anno in poi anche a questi ragazzi – se residenti in Italia – è consentito essere tesserati alle stesse condizioni dei cittadini italiani. Questo, con l’obiettivo di consentir loro la pratica dell’attività sportiva alla stregua dei loro pari età.

Dall’intreccio tra questo indirizzo e la necessità di evitare la tratta dei baby talenti è nata una confusione interpretativa che, in poche ore, s’è propagata lungo tutto lo Stivale, scatenando prese di posizione a non finire. A chiarire il tutto ci ha pensato la Federcalcio, che ha individuato come unico criterio per il tesseramento l’iscrizione alla scuola da almeno un anno. Niente di più semplice, insomma, a tutto vantaggio della pratica del calcio da parte di tutti, nessuno escluso.

Il caso Yamal

Tra realtà e sogno, la favola di Lamine Yamal la dice lunga circa il valore economico che il talento puro ha ormai raggiunto nel dorato mondo del calcio. Il giocatore spagnolo, a 16 anni d’età, ha firmato con il Barcellona un contratto che lo legherà alla società blaugrana fino al 30 giugno 2026. Fin qui, nulla da eccepire. Quel che è destinato a stupire, però, è l’incredibile clausola rescissoria prevista nel caso in cui l’attaccante volesse svincolarsi dalla società: mille milioni di euro, ossia un miliardo tondo tondo. Una cifra da capogiro, giustificata dalla precocità di un atleta schierato nella Liga a nemmeno 16 anni e che di lì a poche settimane ha avuto addirittura l’opportunità di vestire la maglia della nazionale maggiore, andando per giunta a segno. Dalla “cantera” alla blindatura contrattuale, insomma, il passo è stato breve. Ancorché il futuro sia tutto da scrivere, una partenza così ha tutto il sapore di un’anticipata consacrazione.