Il 3 maggio 2016 viene arrestato. Trascorrerà 10 giorni in carcere e, successivamente, quasi un mese agli arresti domiciliari. Sono le misure restrittive più gravose che il nostro sistema penale contempli. Cosa le ha giustificate?
«Sicuramente l’ansia giustizialista della Procura, in parte dovuta al clamore mediatico. Non si è mai ritenuto di dover verificare le dichiarazioni rese dalla dipendente comunale da cui era partito l’esposto; si è pensato solo a cristallizzare subito la situazione. Eppure, gli strumenti di verifica c’erano. Sarebbe stato sufficiente fare accertamenti sul contenuto dell’esposto: già lì c’erano date e cifre sbagliate. Se la preoccupazione fosse stata quella di inquinamento delle prove, come si era detto, avrebbero potuto sequestrare il pc ed il telefono, cosa che non è stata fatta. Il pericolo di reiterazione reato, poi, era nullo, un elemento risibile.
La verità è che la custodia cautelare a San Vittore ha trovato la sua ragion d’essere solo nel clamore che avrebbe suscitato l’arresto di un sindaco del PD in carica in quel momento. Ricordo ancora il momento dell’arresto. Ho visto tutto nero, ho immaginato la fine della mia vita, il mio impegno, la mia passione politica, tutto quello in cui credevo l’ho visto distrutto e annientato. L’arresto ha ripercussioni personali, professionali, sociali, va ad incidere su tutto. Figuriamoci poi per una persona che ricopre un ruolo pubblico. Proprio per queste ragioni, la misura cautelare è uno strumento di tutela del sistema che va usato con rigore e grande equilibrio. Non per fare le conferenze stampa».

Dopo 7 anni di calvario giudiziario, è stato assolto. La sentenza definitiva ha avuto lo stesso risalto delle indagini e dell’arresto?
«Ovviamente, come purtroppo troppo spesso accade, no. Solo quando sono intervenute le scuse del Ministro Di Maio si è dato risalto alla prima sentenza di assoluzione, mentre della sentenza di appello bis si è parlato pochissimo. D’altronde, quando sono stato arrestato ero un personaggio pubblico, in vista, ma per arrivare alla assoluzione definitiva ci sono voluti 7 anni e tutto è cambiato. Ci tengo a sottolineare una frase che ho letto nel libro di Palamara: “l’intreccio tra una Procura, un Giornale e un partito politico può rovinare la vita di chiunque”. Ecco, si può dire che in questo caso nessuno si sia preso la briga di smentirla».
In effetti, la sua vicenda giudiziaria ha avuto un impatto fortissimo sull’opinione pubblica. L’attenzione mediatica ha influito sul processo?
«Tantissimo. Soprattutto dopo l’arresto. Alcune testate hanno mostrato una morbosità malata, una attenzione assurda verso la mia vicenda. L’impatto, poi, è stato ancora più forte tra il ricorso della Procura Generale contro la sentenza di assoluzione in appello – che aveva stimolato un mea culpa di Luigi Di Maio, per aver contribuito ad alzare i toni del dibattito – e la fase della Cassazione.
Ma che l’attenzione mediatica abbia dall’inizio tirato i fili di questa vicenda lo si capisce da un dettaglio fondamentale: la Giudice per le Indagini Preliminari, nell’ordinanza che dispone la custodia in carcere, ha sempre individuato in 100.000 euro il valore dell’appalto. Ma quello era l’importo che la stampa aveva impropriamente indicato nelle testate al momento dell’arresto. Persino l’esposto da cui era scaturito il procedimento recava una cifra diversa, di 70.000 €. In realtà, come poi verrà accertato, il valore dell’appalto era di appena 5.000 €. Quando fui interrogato dalla Giudice chiesi da dove avesse tratto quel dato dei 100.000 euro e lei mi rispose: “l’ho letto sul giornale”. Ecco, dopo l’interrogatorio ho avuto la certezza della follia della situazione nella quale mi sono trovato, del pressappochismo, del furore nella ricerca della colpevolezza e non della verità, come invece la nostra Costituzione imporrebbe».

 

M. Frisetti

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