Cosa c’è di più britannico dei Proms? Il fish and chips, il pudding, il tè delle 4 O’Clock? Improbabile. Per chi non ha mai avuto l’occasione di assistere ad uno spettacolo dei Proms alla Royal Albert Hall, questi sono la quintessenza della britannicità: un’orchestra che suona per qualche ora, un coro, il pubblico del teatro in delirio per un mix di pop e di musica classica rigorosamente britannica e reinterpretata, bandiere del Regno che sventolano ovunque, dal palco principale ai palchetti.

La notizia della settimana scorsa è che all’ultimo Proms erano migliaia le bandiere europee a essere sventolate insieme alla Union Jack: e se è vero che sono state distribuite gratuitamente da organizzazioni pro-Europa all’ingresso della sala, è altrettanto vero che eccome se sono utilizzate, nel corso della serata, con grande disappunto dei “brexiters”.

Che la mossa sia stata “abilmente orchestrata” da gruppi filoeuropei è possibile, che però vi sia un sentiment diffuso nel Regno Unito lo dicono ormai con sempre maggiore chiarezza i sondaggi: il 59% dei britannici considerano la Brexit un errore, il 70% ritiene che la gestione dell’uscita dall’UE sia stata un fallimento e YouGov stima in un 64%/36% l’esito di un nuovo eventuale referendum sull’adesione all’Unione Europea.

Non è un caso che a parlare di nuovi accordi con l’Unione Europea sia stato nei giorni scorsi Keir Starmer, il leader laburista primo nei sondaggi, con un vantaggio di circa 20 punti percentuale rispetto ai conservatori guidati dal premier Rishi Sunak: se si votasse ora, per dire, secondo la maggioranza degli istituti i laburisti supererebbero i 400-410 seggi dei 650 della Camera dei Comuni. Maggioranza bulgara.
Starmer, il volto nuovo del Labour inglese, che in tanti – a ragione – indicano come emulo di Tony Blair, forte di aver saputo neutralizzare la sinistra del suo partito, finora ha galleggiato abbastanza sulle questioni più spinose, preferendo concentrarsi sui numerosissimi insuccessi, flop, gaffes e scandali dei conservatori: questa strategia sicuramente gli è servita molto a crescere nei sondaggi.

Ora che l’odore delle elezioni si avvicina – teoricamente gennaio 2025, ma potrebbero essere anticipate al prossimo autunno se le conflittualità interne ai tories precipitassero -, deve iniziare a scoprire un po’ le carte. E tra queste, primi tra tutti i rapporti con l’Unione Europea.

Tornare indietro al referendum sarebbe oggettivamente too much per Starmer, almeno per il suo primo mandato a Downing Street: ma far partire con l’Unione Europea negoziati a tutto tondo, dai rapporti commerciali alla formazione, dai migranti alla ricerca scientifica, dalla mobilità dei giovani (al 70% critici sulla Brexit) all’energia, dalla sicurezza all’innovazione, questo sì che è accettabile per il popolo britannico, ed è sempre più la richiesta pressante di chi guida la City, delle élite finanziarie e imprenditoriali della capitale inglese. “Moltissimi investitori globali mi hanno detto il Regno Unito non è più nei tavoli che contano, non fa più parte della discussione”, ha detto il leader laburista in Canada, dove nel weekend scorso si è recato al summit dei progressisti in Canada, in compagnia di Tony Blair e Justin Trudeau: “Lo dico da papà: ho un ragazzo di 15 anni e una ragazza di 12 anni e non lascerò che crescano in un mondo in cui tutto ciò che ho da dire sul loro futuro è che sarà peggiore di quanto potrebbe essere altrimenti. Sono assolutamente determinato a far sì che le cose funzionino”.

Che poi questa “ampia rinegoziazione” sia musica per le orecchie di Bruxelles questo è tutto da dimostrare, perché in molti sostengono che nella Commissione nessuno ha questa incontenibile voglia matta di riaprire prima del 2025 – anno in cui dovrà comunque essere rivisto – il dossier dei rapporti col Regno Unito, dopo che era stato chiuso male e con una enorme fatica tre anni fa. Ma tant’è lui ci prova e lo fa con parole chiarissime: più crescita, altro che la fissazione delle tasse è il suo mantra, in una versione che definire “Blair 2.0” corrisponde al vero.

Ieri Starmer, dopo il viaggio in Canada, era all’Eliseo da Macron. I tempi del pugno duro di Boris Johnson nel chiudere il Brexit deal sembrano ormai storia, i disastri di Liz Truss acqua passata. L’asse del rassicurante Starmer con i partiti centristi e di centro-sinistra del Vecchio Continente è stabilito. Ora gli rimane solo davvero conquistare Downing Street e scrivere una pagina di storia del tutto nuova. Per il Regno Unito e per la Vecchia Europa.

Alessio De Giorgi

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