“Possiamo dare risposte concrete e complete“
Un Centro Tog nelle città, eccellenza a livello europeo
Parla la segretaria Antonia Madella Noja: “Dobbiamo dare risposte a un’emergenza davanti alla quale spesso dobbiamo arrenderci perché non ci sono i mezzi necessari”
Un polo integrato e all’avanguardia tecnologica, per offrire le migliori cure specialistiche a bambini e ragazzi con gravi patologie neurologiche, ma anche un luogo aperto alla città, dove favorire l’inclusione sociale e lavorativa e diffondere la cultura della disabilità. Il nuovo Centro Tog (acronimo che sta per Tog Together To Go, Onlus attiva dal 2021) intitolato a Carlo De Benedetti è stato inaugurato sabato scorso a Milano e rappresenta un’eccellenza assoluta nell’ambito dei servizi per bambini e ragazzi con serie patologie neurologiche. La struttura rappresenta sicuramente un passo avanti significativo per la Fondazione; il nuovo centro si sviluppa su tre piani, con una superficie complessiva di 3.000 mq e 600 mq di parcheggio interrato. Il progetto è stato realizzato interamente con fondi privati, con un investimento di circa 13 milioni di euro. «In Italia servirebbe almeno un centro del genere in ogni regione. Solo così potremmo dare risposta a un’emergenza che siamo bravissimi a diagnosticare e intercettare, ma davanti alla quale spesso, purtroppo, dobbiamo arrenderci perché non ci sono i mezzi necessari». Chi parla è Antonia Madella Noja, segretaria generale di Tog fin dal primo giorno.
Cosa rappresenta questo nuovo centro? «È un’eccellenza, anche a livello europeo. Un passo significativo in avanti compiuto grazie al sostegno di importanti realtà private che hanno finanziato interamente il progetto e al Comune di Milano che ci ha affidato le Vecchie docce pubbliche di viale Jenner, un luogo che abbiamo riqualificato e tirato a lucido. Adesso qui possiamo dare risposte concrete e, soprattutto, complete».
Quali erano le vostre aspettative originariamente? Cosa vi ha sorpreso? «Volevamo da subito riabilitare i bambini con lesioni o con sindromi rare genetiche del sistema nervoso centrale e volevamo farlo in maniera totale, cosa che purtroppo a partire dai primi anni Duemila non era stato più possibile per la mancanza di risorse pubbliche. Vede, io vengo da una tradizione della neuropsichiatria infantile importante: abbiamo studiato tanto negli anni dell’inizio di questo settore, in cui c’era la possibilità di fare delle cose veramente egregie. Poi c’è stato il crollo, con la frustrazione di chi operava e opera in un sistema efficacissimo a diagnosticare il problema ma sprovvisto dei mezzi per arginarlo. Per questo abbiamo deciso di fare qualcosa per garantire la riabilitazione a questi bambini. La riabilitazione è l’unica arma a nostra disposizione e peraltro deve essere personalizzata per ottenere risultati efficaci».
Cosa può produrre un intervento tempestivo e completo? «Se noi lavoriamo bene, intensamente e con grande professionalità possiamo migliorare le residue possibilità che ha il cervello di questi bambini e quindi favorire un miglioramento della loro vita. Alcuni possono arrivare a capire la lettura e la scrittura, alcuni possono arrivare a una deambulazione non perfetta ma insomma autonoma».
Quanti bambini avete assistito? «Ne abbiamo seguiti 114, con un piccolo turnover. Abbiamo iniziato con loro quando erano piccoli, adesso diventati dei ragazzini di dieci anni. Non abbiamo smesso però di prendere altri bambini molto piccoli. La situazione da questo punto di vista è piuttosto seria perfino a Milano, dove c’è una lista d’attesa molto lunga per la riabilitazione. C’è molto da fare in tutta Italia, in particolare nel sud. Occorrerebbe davvero un centro Tog in ogni grande città, abbiamo le competenze e anche l’entusiasmo. Mancano i soldi, l’eterno problema della nostra sanità. Siamo stati felici di avere alla nostra inaugurazione Alessandra Locatelli, ministro per la disabilità, sarebbe bello che dopo aver visto Tog riuscisse a trovare i fondi e le sinergie perché potessero nascerne altri in Italia».
C’è un problema di competenze in Italia? «Assolutamente no. Le competenze ci sono: certo bisogna favorirle, anche la formazione che ha subito è una battuta d’arresto legata alle risorse. Penso ai corsi di aggiornamento che ho fatto io ovunque nel mondo e penso a quanti ne possano fare i terapisti di oggi. Non possiamo certo chiedere a un terapista che guadagna 1300 euro al mese di giocarsi le sue ferie e di spendere decine di migliaia di euro in corsi di formazione. C’è da ripensare questo sistema».
Sua figlia Lisa è protagonista della politica, la ricordiamo alla Camera, adesso è consigliere regionale. Quanto è importante una testimonianza come la sua? «Mia figlia ha una lesione del midollo spinale, quindi una compromissione molto grave, ma motoria. È una ragazza intelligente e tenace, il suo esempio è indubbiamente importante. Certamente lei è una indomita. Io vorrei che tutti i bambini che noi curiamo avessero delle chances parametrate alle loro possibilità. Anche in bambini con problemi molto gravi ho riscontrato grandi potenziali di recupero, se si lavora bene e intensamente. Questa è la regola per potercela fare. Non possiamo permetterci di gettare la spugna o ritardare l’intervento di assistenza. È una regola semplice che vale per tutti i settori della medicina».
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