La storia di Cottanera
Un messinese alla guida dell’Etna, Francesco Cambria neopresidente del Consorzio: “Abbiamo grandi ambizioni”
Da un paio di mesi Francesco Cambria, 43 anni, messinese doc, è il nuovo presidente del Consorzio per la tutela dei vini dell’Etna, eletto dall’assemblea dei soci con voto unanime. Il consiglio di amministrazione nuovo è formato anche da Seby Costanzo di Cantine di Nessuno, Irene Badalà dell’omonima azienda, Marc De Grazia di Tenuta delle Terre Nere, Federico Lombardo di Monte Iato di Firriato, Marco Nicolosi di Barone di Villagrande e Graziano Nicosia di Cantine Nicosaia. Vicepresidente del Consorzio sarà Seby Costanzo. Confermato il direttore Maurizio Lunetta che ha già ricoperto il ruolo negli ultimi due anni.
La storia di Cottanera, sul versante Nord dell’Etna
Ho incontrato per la prima volta Francesco Cambria, avvocato di formazione e amministratore dell’azienda Cottanera, sul versante nord dell’Etna, nel 2016. Già allora si trattava di un’azienda originale nel contesto di quel territorio: a conduzione familiare – e fin qui nulla di strano – ma con una estensione vasta, tutta unita e compatta intorno al suo nucleo originario. Una rarità, sia perché la superficie vitata della doc Etna è molto esigua rispetto ad altre in Italia, sia perché la proprietà fondiaria, sul vulcano, è assai parcellizzata, motivo per cui anche i grandi produttori di vino normalmente hanno proprietà frazionate, in parti diverse del vulcano, addirittura, a volte, su versanti diversi della montagna. Cottanera si trova a a 700 metri s.l.m. e può contare su 65 ettari vitati, che riposano su quattro contrade dai nomi assai originali: Cottanera, Diciassettesalme, Feudo di mezzo, Zottorinoto. Il nome Cottanera è legato a un antico borgo rurale che limita i vigneti di famiglia lungo la riva del fiume Alcantara.
“Mio nonno comprò la proprietà nel 1960-61. Qui c’erano diverse proprietà, tutte riunite. Per lo più coltivate a noccioleto. Poi con vigneti a tendone che conferivano le uve alle cantine sociali. I primi a scommettere sul valore di queste terre nere sono stati mio padre Guglielmo e mio zio Enzo”, mi raccontò allora Francesco Cambria. Bellissime la casa padronale e la cantina che si trovano proprio di fronte al fiume Alcantara, nella campagna di Castiglione di Sicilia. Negli anni Novanta i due fratelli Cambria, Enzo e Guglielmo, si stufano delle cantine sociali che non pagavano e decidono di convertire quello che era un noccioleto in un grande vigneto. I primi impianti furono dedicati ai vitigni internazionali. In quegli anni, infatti, i vitigni autoctoni dell’Etna sono ancora poco conosciuti e apprezzati. Ecco perché Guglielmo, il padre di Francesco, all’inizio compra e pianta Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Mondeuse, Syrah, Viognier. Per esempio, il Barbazzale bianco, per esempio, è un blend che all’inizio era fatto per la maggior parte di Viognier: oggi invece è realizzato su una base di Catarratto con piccole percentuali del vitigno francese. Racconta Francesco: “Sull’Etna non c’era ancora granché, a parte il lavoro di Benanti, Barone di Villagrande e Murgo sul versante orientale e meridionale. Poi, nel corso degli anni, si aggiungono gli autoctoni, i vitigni storici dell’Etna: il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio e il Carricante. Mio padre si mette in cerca di antichi vigneti di nerello mascalese, fin quando li trova in contrada Zottorinoto, nel 1997-98: un impianto con 65 anni di età su 4 ettari di terreno vitato ad alberello e filari. Da quel momento, lo prende in conduzione, lo vinifica e alla fine lo acquista. Nel 1999 nasce l’azienda Cottanera. Comincia una viticoltura specializzata per portare progressivamente il nerello sugli altri terreni dell’azienda”.
Tra le contrade del vulcano
Gli impianti vengono completati nel corso degli anni 2000. Grazie al lavoro e agli investimenti di Guglielmo, che purtroppo è venuto a mancare nel 2008, l’azienda può contare su una quarantina di ettari di vigneti che rientrano nella doc dell’Etna. Al centro di tutto c’è ovviamente il Neretto Mascalese, l’uva che meglio si adatta alle caratteristiche del versante Nord. “Il Nerello è un’uva delicata: va esaltata così, in acciaio. Cambia con le differenze di terreno. Ha colore scarico, aromi delicati: vogliamo mantenere integro il frutto. A questo fine, il legno è meno invasivo e tende a preservare la delicatezza del colore e del bouquet aromatico”.
Rilevante è poi l’influenza del terreno. L’azienda Cottanera ha vigneti in 4 contrade (una di queste, Cottanera, è completamente sua). “Zottorinoto e Feudo di mezzo – dice Francesco – sono simili: terreni prettamente lavici, pietrosi e polverosi, caratterizzati dalla terra scura frutto di erosioni di lava. Sull’Etna hai tanti terreni diversi: ogni colata è diversa con una combinazione di elementi di ferro, potassio, zolfo. La contrada Diciassettesalme corre proprio sotto la strada fino al fiume Alcantara. Qui, all’erosione della lava si unisce l’esondazione dell’Alcantara. Le ‘salme’ sono un’unità di misura pari a 1,50 ettari circa. Millenni fa il fiume scorreva molto più carico e depositava detriti di tipo argilloso: il terreno lì è più chiaro e ha maggiore compattezza. I vini che ne derivano hanno un frutto più pieno rispetto all’eleganza degli altri vini: questi vini sono più decisi, più pieni, hanno più colore, più frutto che fiore. Nella contrada Cottanera c’è una sorgente d’acqua naturale demaniale che pompa acqua nelle gallerie molto piccole sottoterra: questi canali raggiungono l’Alcantara mantenendo il terreno fresco anche nelle estati più siccitose e le piante, così, non soffrono lo stress. Ottime condizioni per il bianco: il Carricante è molto delicato, rischia la cottura, si può imbrunire. Lì, invece, mantiene un alto livello di freschezza”.
Francesco Cambria, la passione alla guida del Consorzio
Oggi, dopo la scomparsa di Guglielmo, Cottanera è guidata dai figli: Mariangela, Francesco ed Emanuele. Una squadra consolidata che garantisce la produzione e il commercio di 350 mila bottiglie in Italia e nel mondo. “Dieci anni fa ho scelto di lasciare la mia carriera di avvocato e rientrare in Sicilia per guidare l’azienda di famiglia. E’ stato un cambiamento importante, sono dovuto ripartire da zero e imparare tutto della viticoltura. Il mio impegno oggi è ripagato dalla crescita dell’azienda e dalla qualità degli 11 vini che produciamo, apprezzati dalle più importanti guide di settore: 6 rossi, 3 bianchi, 1 rosato e 1 metodo classico”, ha detto Francesco durante la celebrazione dei 100 anni di Confagricoltura nel 2020.
Proprio alla luce di questa esperienza, Francesco Cambria ha dato un contributo al Consorzio fino a diventarne il presidente. Prima ha vissuto gli anni della presidenza di Giuseppe Mannino, patron della Tenuta Mannino di Plachi, che ha ottenuto per il Consorzio dell’Etna il riconoscimento delle quote erga omnes, ovvero di quelle risorse che chiunque faccia vino utilizzando una denominazione di origine deve versare al consorzio di tutela della denominazione, a prescindere dal fatto che l’azienda sia socia o no del consorzio. Poi ha collaborato con Antonio Benanti, manager di Benanti viticultori, presidente del Consorzio dell’Etna fino al 2021, avviando una serie di nuovi progetti. “Credo nel territorio dell’Etna. Il territorio deve essere basato sull’associazionismo. È necessario sia per la conformazione dell’area che per il numero delle aziende che sono in tutto 170”, mi dice Francesco nel corso della conversazione che abbiamo avuto a natale scorso. “Sono rimasto tra i vecchi”, scherza, “ma con un grande spirito di iniziativa”.
Un programma ambizioso
Soprattutto, “abbiamo finalmente un budget con il quale vogliamo realizzare un programma ambizioso: per esempio, gli Etna Days, che si svolgeranno tra Catania e il territorio etneo, e un evento promozionale negli USA che, a causa del Covid, abbiamo tenuto in stand by”. Tra le attività ci sono, ovviamente, quelle classiche di un consorzio: la tutela e il rafforzamento della denominazione e la vigilanza con azioni mirate in Italia e all’estero. Un altro impegno è dedicato a preservare l’integrità del territorio. In primo luogo, con il blocco dei diritti di impianto che scade nel 2022 e che sarà prorogato per altri tre anni. L’obiettivo è quello di impedire di piantare nuove viti, proprio per valorizzare al massimo quello che già offre l’Etna: “restano ovviamente i diritti regionali che consentono l’impianto di 4mila metri di vigna ogni anno. Ci sono poi le vigne sommerse: quelle non ancora iscritte all’albo”. Grande attenzione alla sostenibilità: “il Consorzio punta alla sostenibilità per l’intero territorio e non solo per le singole aziende. L’obiettivo è rendere sostenibile un’intera area, tutto il circondario dell’Etna. Vogliamo aderire all’iniziativa Sostain”.
Come cambia il disciplinare della denominazione verso la Docg
L’altra grande sfida è la zonazione per contrada: “la definizione delle contrade è un passaggio fondamentale per un territorio come il nostro. Abbiamo già introdotto la possibilità di indicare il nome del vigneto in etichetta, purché iscritto nell’albo regionale. La zonazione ci servirà a evidenziare ancora meglio le differenze fra i singoli territori e all’interno delle stesse contrade etnee”. In tema di vino, un altra sfida cruciale riguarda le modifiche del disciplinare per aggiornare le norme alle nuove produzioni. “Alcune integrazioni sono già acquisite. Il 15 dicembre scorso, per esempio, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la modifica del colore del rosato: in linea con la tendenza che si è affermata sul vulcano sarà la buccia di cipolla, mentre prima il colore era più carico. L’altra grande novità riguarda lo spazio che sarà finalmente dato allo spumante Etna Doc da uve Carricante. Finora lo spumante doc proveniva soltanto da uve di Nerello Mascalese. È una modifica di cui si discute da troppo tempo al Consorzio e finalmente vedrà la luce. Per noi il Carricante è il vitigno bianco autoctono per eccellenza del nostro territorio ed era un peccato che non si potesse spumantizzare sotto l’insegna della Doc Etna”.
C’è poi, cruciale, il programmato passaggio della denominazione Etna da Doc a Docg: “il percorso ormai è tracciato. Il direttivo avrà il mandato di presentare la pratica al Ministero delle Politiche Agricole per l’avvio definitivo dell’iter. Mi auguro che venga istruito al più presto. Sarebbe un bellissimo risultato poter elevare i nostri vini a Docg entro i prossimi tre anni”. Alla fine della nostra conversazione, rivolta al futuro, un ricordo va anche ad Andrea Franchetti, l’imprenditore pioniere della cantina Passopisciaro: “In occasione della mia elezione a presidente, ho chiesto un minuto di silenzio e preghiera. Abbiamo ricordato e ringraziato Andrea per quanto ha fatto per il nostro territorio. Il prossimo Contrade dell’Etna si svolgerà in sua memoria. Franchetti ha contribuito alla rinascita e alla rivoluzione del territorio etneo”.
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