L'offerta sul tavolo
Un ministero per Giuseppe Conte: il piano Draghi per portare in maggioranza il Movimento 5 Stelle
Giuseppe Conte come collante per portare l’ex maggioranza giallorossa composta da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Leu a sostenere il governo tecnico di Mario Draghi? Ci sarebbe stato anche questa ipotesi sul tavolo del lungo colloquio, durato oltre un’ora, tra il presidente incaricato da Sergio Mattarella e l’ex premier a Palazzo Chigi.
Secondo un retroscena dell’agenzia Dire, nel corso della discussione tra l’ex numero uno della Banca centrale europea e l’avvocato pugliese si è vagliata l’ipotesi relativa alla partecipazione di Conte all’esecutivo “di alto profilo” chiesto dal Quirinale. In ballo ci sarebbe un ministero di peso, come quello degli Esteri che ad oggi è occupato da Luigi di Maio, o la vicepresidenza del Consiglio. Un modo per ottenere il voto di fiducia dei pentastellati, divisi al loro interno tra governisti e oltranzisti, nonostante la posizione ufficiale di Vito Crimi sul ‘no secco’ a Draghi.
Una ipotesi che nel pomeriggio era stata smentita da fonti del Movimento 5 Stelle, che avrebbero precisato come l’ex premier non sia disponibile a fare il ministro nel nuovo governo guidato da Mario Draghi. Alle 19 arriva quindi la smentita anche da Palazzo Chigi: “Non si è parlato di incarichi di governo per il presidente Conte”.
Chi invece si dice “convito” che Conte sarà “il primo sostenitore di Draghi” è Pier Ferdinando Casini. Contattato da HuffPost il ‘decano’ dei senatori eletto col Partito Democratico, sottolinea che Conte “magari parteciperà allo sforzo nazionale candidandosi al ministero degli Esteri. Non c’è dubbio che le cose finiranno così perché non credo che l’Università senta tanto la sua mancanza”.
MOVIMENTO SPACCATO – La metà dei portavoce grillini, secondo quanto si apprende da fonti interne citata da Lapresse, non è disposta a seguire ancora le indicazioni dell’attuale vertice. Il malumore è forte sulla posizione assunta ieri in tarda serata dal capo politico reggente, Vito Crimi, che ha chiuso di fatto le porte a un voto di fiducia per un governo tecnico a guida di Mario Draghi, posizione che, a quanto si apprende, sarebbe sostenuta anche da Beppe Grillo. “Neanche se fossimo nell’Unione Sovietica si deciderebbe una cosa così importante senza neanche consultare i parlamentari”, spiega una fonte. “La linea tenuta in questa crisi è stata totalmente sbagliata fin dall’inizio, non possiamo più affidarci a chi l’ha studiata e difesa, senza ascoltare chi chiedeva più prudenza o quantomeno un supplemento di riflessione condivisa”, aggiunge.
C’è poi un altro concetto che si sta diffondendo all’interno del gruppo, soprattutto tra le nuove leve del primo mandato. “Qualcuno ha messo in giro la voce che se salta Draghi c’è la possibilità di tornare a un governo politico – suggerisce ancora un’altra fonte -. È una balla colossale, lo capiscano tutti. Dopo questo tentativo ci sono solo le elezioni e noi non possiamo mandare a sbattere il Paese”. La serata, dunque, si preannuncia infuocata. E la riflessione su possibili scissioni torna ad affacciarsi. Ma, come disse un parlamentare nei giorni caldi del braccio di ferro con Iv, quando la linea era ancora “Mai più con Renzi” e Alessandro Di Battista, assieme a una pattuglia di portavoce insisteva per alzare un muro invalicabile, ci sono “scissioni buone e scissioni cattive. Se ti liberi di chi non sa fare la ‘O’ col bicchiere non è poi mica un male
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