Un nuovo progetto liberale è l’ultimo treno per i riformisti

Purtroppo, o per fortuna, la politica non si fa a tavolino: le fusioni a freddo non hanno quasi mai funzionato. I partiti senz’anima e senza radici culturali sono operazioni di marketing prive di un vero spessore culturale e di visioni a lungo termine. Esiste un’area riformista che va (potenzialmente) dal Partito democratico a Forza Italia, che troverebbe un terreno politico comune lasciando fuori i populisti, le destre e la sinistra più estrema, le forze conservatrici e quelle neomassimaliste. Tale area comprende socialisti, liberali e l’area cattolica riformista. Tuttavia questo rimane uno scenario per adesso astratto e ipotetico, visti gli assetti attuali. Nello specifico si avverte invece l’urgenza di un partito in grado di riunire in modo coerente le famiglie liberali, a partire da una nuova visione politica capace di interpretare i bisogni dei territori e le grandi sfide globali della nostra epoca.

Rispetto a questi problemi inediti, caratteristici della situazione in cui ci troviamo, servono nuove elaborazioni teoriche: guardare unicamente alle ricette politiche del passato non ci aiuta a comprendere le profonde trasformazioni che attraversano il mondo odierno – trasformazioni legate principalmente alle innovazioni tecnologiche e alle loro applicazioni. Viviamo in un mondo interconnesso e ibridato al digitale: quanto accade in un punto del pianeta oramai tocca e riguarda inevitabilmente anche tutti gli altri. Non esisteranno mai più muri sufficientemente alti in grado di proteggerci da quanto accade altrove. Per quanto le destre possano avanzare proposte facili da comunicare (perlopiù incentrate sulle identità culturali-nazionali) gli interessi che intendono rappresentare non possono essere pienamente tutelati poiché si basano su un presupposto infondato, in quanto i nostri confini sono permeabili, attraversati e uniti dai grandi sistemi digitali e finanziari che regolano e determinano gli equilibri mondiali. E in questo l’Italia non fa eccezione rispetto agli altri paesi del globo.

Problemi globali devono trovare prima una visione e poi delle risposte politiche altrettanto globali. Serve dunque una visione di insieme capace di offrire una spinta emotiva, non solo pragmatica, alle nuove politiche riformiste. Tale visione la possiamo ritrovare risvegliando il nostro spirito cosmopolita: identità e valori possono essere declinati all’interno di questa cornice liberale. Se correttamente intesa, la laicità è uno strumento metodologico fondamentale per regolare le relazioni tra individui che possiedono differenti credenze culturali e religiose. Si tratta inoltre di affermare una concezione dell’Europa non geografica ma valoriale, incentrata sullo Stato di diritto e sui valori della democrazia liberale. Serve una concezione federalista e autonomista dei territori in senso sia politico che economico, a partire dall’impiego delle nuove tecnologie digitali. I territori necessitano di una visione ecologista incentrata sulla sostenibilità: maggiore autonomia significa maggiore libertà. Le nuove tecnologie digitali abbinate alle nuove forme di produzione energetica possono rendere via via i territori sempre più autonomi e autosufficienti. Autonomia e cultura federalista – da applicare anche alla forma-partito – sono essenziali se vogliamo bilanciare le attuali spinte alla globalizzazione.

Questi processi hanno bisogno di codici comuni e di omologazioni culturali: federalismo significa saper tutelare la specificità, la storia e le diverse tradizioni culturali dei territori. Le politiche riformiste servono a non contrapporre il locale al globale: si tratta di pensare e di progettare nuove sintesi tra locale e globale capaci di interpretare correttamente le diverse esigenze e, congiuntamente, di saper cogliere le nuove opportunità senza con ciò subire e patire acriticamente i processi di globalizzazione in atto. Senza tale riequilibrio culturale rischiamo di concentrare e delegare potere al di fuori dei territori, impoverendoli in modo irrimediabile. Si tratta di affermare e riconoscere nuove tutele e nuovi diritti individuali, svincolati però dalla visione progressista statunitense: si tratta di pensare una società più equa e giusta che non sia suddivisa per etnie, orientamenti sessuali e quant’altro, ma che si basi piuttosto sugli individui e sulla loro tutela economica, una tutela rivolta alle fasce più deboli e finalizzata a offrire nuove opportunità. Libertà, eguaglianza ed ecologia sono i cardini da cui ripartire per ripensare le nostre individualità, sociali-territoriali, a partire da una visione cosmopolita. Arriverà un giorno – scriveva Carlo Rosselli – in cui la parola liberale sarà rivendicata con “orgogliosa consapevolezza” dal socialismo. Questo giorno è arrivato.

Il Terzo polo è fallito ancor prima di nascere a causa delle divisioni tra i singoli leader politici. Non è nato pur avendo programmi, valori e visioni identici, che peraltro non giustificano l’esistenza e la moltiplicazione di partiti, ed è proprio questa frantumazione che non ha reso pienamente credibile l’offerta politica. Coloro che hanno votato alle europee hanno dato un segnale chiaro in questa direzione: sanno a chi e a cosa opporsi. Urge ora un soggetto politico unico e coerente in grado di rappresentare questa visione liberale del mondo e della società. Le alleanze vengono sempre dopo l’identità teorica e programmatica del soggetto politico; quest’ultimo deve saper toccare sia la parte emotiva, fatta di tensioni ideali-valoriali, sia quella razionale, costituita da interessi specifici e da soluzioni pratiche legati a individui e a iniziative economiche d’impresa. Questo è l’ultimo treno, posto che non sia già troppo tardi, per riguadagnarsi la fiducia degli elettori che chiedono e attendono un soggetto politico riformista all’altezza delle sfide del nostro tempo.