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L'esempio
Una bella litigata in ufficio parlando di politica: lo studio su cosa ci porta in deplezione cognitiva
Un certo giorno, in ufficio, dopo una riunione finita un po’ prima, hai deciso di fare una pausa con quel tale collega. All’improvviso, si parlava del più e del meno, la conversazione è precipitata su argomenti politici. In quel momento, hai scoperto che lui non la pensava affatto come te; anzi, era proprio agli antipodi. Lentamente, anche il caffè è diventato più amaro del solito e ti sei accorto di quanto foste diversi.
L’effetto negativo sul benessere
Eppure, ti avevano avvisato, non parlare di politica al lavoro! L’American Psychological Association (APA), la più importante associazione di psicologi al mondo, nel 2020 aveva indicato che ascoltare conversazioni politiche sul lavoro, oltre a ridurre la concentrazione, aveva un effetto negativo sul benessere. Perché è una questione di deplezione cognitiva, ossia il consumo o l’esaurimento delle energie necessarie per autoregolarci e contenerci.
Parlare di politica in ufficio ci porta in deplezione cognitiva perché tendiamo a limitarci e a trattenerci e a non dire ciò che pensiamo. Perché sappiamo che esprimere la nostra idea politica avrà effetti sociali indesiderati.
Il clima di collaborazione
Nell’era della leadership inclusiva e gentile, essere altruisti e saper cooperare con gli altri è un ingrediente chiave per un rapporto lavorativo di successo, soprattutto per chi occupa posizioni manageriali. Saper creare un clima di collaborazione è fondamentale e per ottenerlo bisogna pensare una cosa: siamo uniti perché simili e con lo stesso obiettivo. Ma l’aumento della polarizzazione politica crea un grande pericolo perché rompe questo tessuto di collaborazione e ostacola l’interazione tra dipendenti, soprattutto se appartengono a fazioni politiche opposte.
Lo studio
Secondo alcune ricerche, se so che il mio “compagno di gioco” nel “dilemma del prigioniero” ha opinioni politiche opposte alle mie, tendo a fare scelte diverse perché non mi fido di lui e lo reputo meno affidabile. Proprio su questo, pochi mesi fa, Eugen Dimant, professore all’Università della Pennsylvania, ha pubblicato uno studio interessante. Ha suddiviso 8600 persone in gruppi basati sulla loro opinione su Trump. Chi lo amava e chi lo odiava. Ha scoperto che le persone si percepiscono più vicine a chi condivide le stesse opinioni politiche (ingroup-love) e manifestano, di contro, un odio comportamentale verso il gruppo esterno (outgroup-hate), che ci rende meno collaborativi e altruistici verso chi ha opinioni politiche opposte, fino ad arrivare a comportamenti dannosi per proteggerci da chi pensiamo voglia fare altrettanto con noi.
Forse è tempo di considerare che nell’inclusione dobbiamo includere anche l categoria dell’opinione politica. Nelle aziende, dobbiamo sviluppare delle pratiche per gestire le emozioni e gli atteggiamenti negativi verso chi non la pensa come noi. Non sia mai che, riuscendo ad accettarci anche se la pensiamo diversamente in ufficio, non ci roviniamo più quel caffè e finiamo per migliorare l’intera società.
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