«Napoli dovrebbe comportarsi come le altre città europee nelle quali è solo l’amministrazione comunale a prendersi cura del patrimonio culturale, occupandosi della manutenzione e della valorizzazione dei suoi beni. Perché una città accogliente e funzionante è innanzitutto un fiore all’occhiello per il sindaco che la governa»: ne è convinto Paolo Giordano, professore di Restauro dell’Architettura e coordinatore del dottorato di ricerca in Architettura e Beni Culturali dell’università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli e da poco membro dell’osservatorio della qualità dell’Architettura della Regione.

L’idea di nominare un unico responsabile che pensi alla valorizzazione della città e dei suoi beni, porrebbe fine a quel groviglio burocratico composto da Comune, Soprintendenza, Autorità portuale e altri enti che pure orbitano nella dimensione cittadina.

Come per le città di Oporto, di Nantes o di Amiens, la soluzione di una gestione unica dei beni sarebbe ideale anche per Napoli. Lo sarebbe se chi governa la città dimostrasse di avere a cuore la sua storia e spendesse le giuste risorse per tutelarla. Le indagini di Openpolis sugli ultimi dati disponibili rivelano che Napoli sborsa appena 13,57 euro pro capite per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali: ultima in classifica, nessuna grande città italiana fa peggio. La più virtuosa, invece, è Firenze che per i suoi beni culturali spende 117,51 euro pro capite.

Per beni culturali si intendono le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: dai musei alle biblioteche passando per monumenti, parchi e manoscritti rari. I beni culturali sono di diversa tipologia e diversa proprietà: pubblica, dello Stato o di enti territoriali, o privata. In quanto a bellezza e storia, Napoli non è seconda al capoluogo toscano né ad altre città italiane, ma dimostra di non saper valorizzare le proprie ricchezze e, quindi, è come se non le avesse. Un copione che si ripete troppo spesso, specialmente di fronte ai disastri frutto dell’incuria e della mancanza di un’adeguata politica manutentiva.

Crolla l’arco borbonico di Via Caracciolo, pezzo unico della nostra memoria? Ed ecco che si scatena il solito scaricabarile: «Doveva pensarci il Comune», «Perché la Soprintendenza resta a guardare», «No, è tutta colpa dell’Autorità portuale». Probabilmente non si saprà mai chi avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione ordinaria, fatto sta che l’arco borbonico è stato sgretolato dalla violenza della mareggiata che nei giorni scorsi ha devastato il lungomare. L’episodio ha risvegliato qualche coscienza, ma sempre in ritardo, sempre un poco più tardi, sempre quando ormai il dado è tratto e il danno è fatto.

«Dare la colpa all’Autorità portuale anziché al Comune è troppo semplice: la colpa è di tutti – sottolinea Giordano – Noi cittadini non abbiamo quella coscienza critica capace di capire che ci troviamo di fronte a beni preziosi e non abbiamo la dignità di tutelarli. Noi come le istituzioni». E allora cosa fare per salvare le eccellenze storiche e architettoniche della nostra città? «Bisogna stabilire che solo il Comune deve occuparsi della tutela e del restauro dei beni culturali – afferma Giordano – e che deve farlo coinvolgendo le università e i giovani che hanno l’entusiasmo e le competenze per centrare questo ambizioso obiettivo». Ma ci deve essere anche un cambio di mentalità e uno sguardo nuovo sulla cultura, iniziando a considerarla per quello che è: un volano importantissimo per lo sviluppo dell’economia di Napoli. «Un sindaco deve investire sui bene culturali perché producono reddito – conclude Giordano – Una città accogliente e ben tenuta stimola il turismo. La cultura deve essere vista come una risorsa patrimoniale da mettere a reddito. Oggi non è così».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.