La manovra di bilancio
Un’altra finanziaria stile Bismarck, meglio non sapere com’è fatta

Ogni anno è la solita storia. Quando si tratta di approvare la legge di bilancio l’opposizione rimprovera alla maggioranza di governo quelle forzature procedurali cui aveva fatto ricorso quando era tale. Accuse rituali e quindi ormai prive di credibilità, come quando il bue dice cornuto all’asino. Il vero è che da anni la procedura prevista per l’approvazione della legge di bilancio non viene rispettata. Al suo posto si seguono cattive prassi oramai – ed è quel che è peggio – comunemente accettate.
In primo luogo la legge di bilancio viene sempre presentata dal Governo in ritardo rispetto al termine previsto del 20 ottobre: Letta la presentò il 21 ottobre, Renzi il 25 ottobre nel 2015 e il 29 ottobre nel 2016, Gentiloni il 29 ottobre, Conte I il 31, Conte II il 2 novembre, Draghi l’11 e ora Meloni il 23. Al netto della giustificazione di quest’ultimo esecutivo, insediatosi il 22 ottobre, la tendenza al ritardo è chiara, con conseguente compressione dei tempi d’esame parlamentare. In secondo luogo, da quando le politiche economiche e di bilancio vanno sottoposte all’Unione Europea al fine di un loro coordinamento c’è un evidente mancata sincronia tra la procedura nazionale e quella europea. L’Eurogruppo e la Commissione, infatti, devono esprimere un parere sul Documento programmatico di bilancio – che il Governo deve presentare entro il 15 ottobre ed in cui sono riassunti i saldi e le misure della legge di bilancio – entro il 30 novembre (art. 7.1 reg. UE 473/2013), anche se può già entro il 30 ottobre (se il termine del 20 ottobre fosse rispettato…) formulare rilievi in caso di gravi violazioni del Patto di stabilità e di crescita.
Quest’anno il parere è arrivato il 14 dicembre, a causa dello slittamento dell’intera procedura. L’attesa di tale parere rende surreale e pressoché inutile l’attività parlamentare precedente, come dimostra la vicenda del limite entro cui rendere l’accettazione del Pos obbligatoria: settimane di polemiche politiche rivelatesi inutili se si fossero conosciuti prima gli orientamenti dell’Ue e che peraltro hanno ingenerato la falsa convinzione nei cittadini che l’obbligo di accettazione del Pos entro 60 euro fosse stato già abrogato…). Di qui il paradosso per cui ad intere giornate fatte di attese inutili seguono improvvise accelerazioni in cui bisogna di corsa, in poche ore (per di più notturne) esaminare e approvare il testo finalmente presentato dal governo dopo lunghe ed estenuanti mediazioni extraparlamentari tra le forze di maggioranza e con l’opposizione (costretta a interloquire con Palazzo Chigi anziché nelle sedi parlamentari deputate).
In terzo luogo, l’assalto alla diligenza con conseguente compressione dei tempi e caos procedurale. La vicenda dell’emendamento approvato del Pd approvato incredibilmente per “svista” nonostante privo di copertura finanziaria, che ha costretto la legge di bilancio a ritornare in Commissione, non è che la naturale conseguenza di un esame (notturno) in Commissione bilancio caotico e affrettato, dove occorre scremare, attraverso la prassi degli emendamenti segnalati o super-segnalati dai gruppi parlamentari, le migliaia di emendamenti-spot microsettoriali o localistici presentati dai singoli deputati e sbandierati sui social per soddisfare i loro bacini elettorali (benché vietati dalla l. 196/2009) per accaparrarsi la “mancia” elettorale che il Governo mette loro a disposizione (prima 400 ora 200 milioni equamente divisi tra maggioranza ed opposizione per non scontentare nessuno): una sorta di pedaggio parlamentare che il Governo mette in conto di pagare pur di riuscire a far approvare il bilancio. Le cronache parlamentari ieri davano notizia dell’approvazione notturna di un finanziamento di 500mila euro alla Confraternita della Misericordia, a dimostrazione che, come diceva Bismarck, due cose il popolo non deve sapere: come sono fatti i würstel e come viene redatta la legge di bilancio.
Infine, in quarto luogo, l’ormai consueto monocameralismo di fatto per cui – come accade anche per le altre leggi – anche per quella di bilancio la seconda camera, nel nostro caso, il Senato, si limita a ratificare, senza modificare, il testo approvato dalla prima, come accaduto già nel 2010, 2011, 2016 e dal 2019 in poi. Chi paventa il rischio dell’esercizio provvisorio, e cioè di una legge di bilancio approvata oltre il 31 dicembre, evidentemente non conosce né le procedure né le prassi parlamentari che oggi consentono al Governo di blindare il testo approvato in Commissione (dove giustappunto si concentra ed esaurisce l’esame parlamentare) attraverso il ricorso alla questione di fiducia sul maxi-emendamento che riassume e sostituisce l’intera legge. È sempre un (dis)piacere vedere la faccia degli studenti sbigottiti quando, dopo aver studiato le classiche regole sul procedimento legislativo, mostro ogni anno loro a lezione che l’ultima legge di bilancio consta di un solo articolo suddiviso in più di mille commi (per l’esattezza 1.013 circa l’art. 1 della legge di bilancio 2022 n. 234/2021).
Dinanzi a tali consolidate cattive prassi serve a poco, come detto lamentarsi rimproverando agli altri ciò di cui ci si è resi prima colpevoli. È uno stucchevole gioco delle parti. Così come a nulla serve fare ricorso alla Corte costituzionale, lamentando la violazione di quelle basilari regole fissate dall’art. 72 Cost. sul procedimento legislativo, e cioè che l’esame articolo per articolo e con votazione finale. L’hanno fatto nel 2019 i senatori del Pd e nel 2020 quelli del centro destra con il medesimo esito negativo, avendo sempre la Corte trovato una qualche giustificazione a tali forzature, come un domani potrebbe essere l’essersi il governo Meloni insediato in ritardo rispetto al ciclo di bilancio.
E allora? Se il problema è strutturale occorrono interventi strutturali, anche di natura costituzionale, quali ad esempio: limitare la facoltà del Parlamento di emendare il bilancio (come accade in Francia, Grecia, Irlanda, Spagna, Svizzera e Gran Bretagna); sincronizzare la procedura nazionale con il controllo dell’UE; voto dell’Aula solo su emendamenti soppressivi, anziché aggiuntivi, o su testi interamente sostituitivi. Il tutto perché si restituisca al bilancio la sua originaria funzione e che storicamente è alla base della nascita dei Parlamenti: l’essere un “bene pubblico” in cui si concentrino e si confrontino essenzialmente le fondamentali scelte di indirizzo politico così da permettere ai cittadini di conoscere le modalità ed i fini per cui le risorse vengono prelevate, destinate e infine spese.
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