La riflessione
Un’Apocalisse quotidiana viene minacciata e agitata al vento da giornali e tv
Il catastrofismo impazza sui media, scurendo la prospettiva, la stessa voglia di vivere, di stare in società.
“Anticamente c’era la paura della fine del mondo − qualcosa che sarebbe successo in un futuro − ma oramai l’apocalisse è presente di fatto, nelle preoccupazioni quotidiane di tutti”. Queste parole di Emil Cioran sembrano attagliarsi perfettamente a quel fiume oscuro di terrore, di presagi, di incanti che solcano il cielo, i mari e le prime pagine dei quotidiani, dipingendo con i colori pastosi e inferi degni di un Bosch lo scenario perfetto di una apocalisse ridotta a feticcio ornamentale e, del pari, a strumento di consolidamento di un certo potere.
Instrumentum regni per vivificare la narrazione del potere istituzionale o, più prosaicamente, con il suo ellittico andamento sensuale e quasi erotico, utile per vendere più copie o procurare più ospitate in TV.
Abbronzatura mondana escatologica di esperti che recitano il dolente rosario della fine ultima. Torrenti di devastazione e catastrofe, icone della fine, per riprendere il titolo di un bel libro di Andrea Tagliapietra edito da Il Mulino; l’apocalisse si fa pop, si innerva nel linguaggio cinematografico, nelle serie televisive e nei romanzi, nei rotocalchi scandalistici e nel dibattito politico.
Film catastrofici, sonorità apocalittiche che si espandono in gravi e cerimoniali volute, in quella inarcata parabola che va da The Day after Tomorrow a Greenland, ogni giorno risuona quasi il rintocco della morte giunta su bianco destriero.
‘Inferno’. ‘Distruzione’. ‘Apocalisse’. Il sensazionalismo languido e sparato ad alzo zero di titoli emergenziali, parole d’ordine sempre più crudeli, sempre più terrorizzanti, e sembra quasi di risentire Guido Morselli che nel suo Diario annotava severo e sarcastico al tempo stesso ‘l’umanità deve finire in una disastrosa apocalisse”.
Una parte della scienza, quella più sensibile alle lusinghe pop, si è resa religione. Religione dei tempi ultimi. Da impero Maya tracollante tra nubi, incensi e sacrifici, in cui un andamento post-razionale ed emotivissimo non porta più a voler o poter discutere del merito di una data situazione, emergenziale o meno emergenziale che sia. Trasfigurata, incrudelita come sotto il peso di un sudario purpureo, l’apocalisse incarna davvero l’ultima possibilità di senso, per richiamare la lezione di Sergio Quinzio.
E proprio in tema di senso, nell’oggi, un oggi specchiato nella bruma dell’emergenza perenne e del catastrofismo dilagante per palinsesti TV, chiacchiere da bar e scambi dialogici tra parlamentari, l’apocalisse sembra preludere quel rischio immenso, illustrato da Ernesto de Martino nel suo splendido ‘La fine del mondo’, che consiste nell’utilizzare le stesse risorse del dominio tecnico in una modalità del tutto priva di senso.
Privo di senso è cercare di occupare manu militari qualunque riga di giornale, qualunque sussurro in televisione, qualunque sbandierata questione intellettuale per promettere la distruzione. E non una distruzione creatrice, corroborante, artistica e spirituale, ma un monolite nero di annichilimento che soggioga le menti, le lega a un paradigma di sicurezza imposta e da cui ogni dubbio è bandito.
L’apocalisse minacciata e agitata al vento come vessillo è tremenda, cristallizzante e incapacitante. Scurisce la prospettiva, la stessa voglia di vivere, di stare in società. Hanno una responsabilità tremenda questi chierici dell’apocalisse: svuotano di senso gli individui, impediscono di analizzare in maniera davvero razionale e scientifica i grandi temi, annegati sotto strati geologici di orrore quasi cosmico. O davvero credete che il profluvio continuativo, quasi tortura cinese della goccia, di titoli urlanti e grondanti sensazionalismo della catastrofe possano predisporre la strada a un dibattito serio e sereno?
Se non si cambierà registro si andrà verso quella dolente fine cantata da Guido Piovene quando così scriveva, “muore senza visioni, finite le utopie. In un’assoluta mancanza di visioni, al margine della cecità mentale. Uno degli aspetti più di fine di questa fine è che forse non sarà intera, lascerà ancora indietro qualche piccola scoria”.
© Riproduzione riservata