L’uomo riesce a provare orrore per la violenza inflitta alle “minoranze”. Riesce a farne materia di storia e di denuncia. Riesce a proporsi di impedirne la ripetizione. Ma la violenza più vasta, più antica e duratura, e che si perpetua giustificandosi ovunque nel mondo e quotidianamente; la violenza più feroce e vigliacca nell’esercitarsi con una garanzia di impunità irrevocabile e in forza del potere discriminatorio più spaventoso che mai l’uomo si sia attribuito, facendone uso non solo senza rimorso ma perfino rivendicandone la legittimità; la violenza più atroce di cui l’uomo è responsabile perché pretende di commetterla e la commette richiedendo a chi ne è vittima nemmeno soltanto di accettarla, ma ancora di offrirvisi; questa violenza che non finisce narrata in nessuna storia perché è di tutta la Storia, e per la quale l’uomo non riesce a provare orrore perché sa di non potervi rinunciare senza rinunciare a tutti i suoi regni, a tutti i suoi diritti, a tutte le sue leggi, a tutti i suoi bisogni, a tutto se stesso; insomma questa violenza inflessibile, il cui imperio non lascia scampo a chi la perpetra né a chi la riceve perché tanto intima all’uomo e connaturata; ebbene questa violenza arcaica e incessante così nella comunità selvaggia come nella civiltà provetta, non si è mai veramente rivolta contro nessuna “minoranza”. Ma indistintamente e indiscriminatamente, da sempre e ovunque nel mondo, contro una parte intera del genere umano: contro le donne.

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Nessuno che appartenga a una razza discriminata, a un rango sociale obbligato alla soggezione, a una cerchia di religione vietata, nessuno di questi è predestinato a subire la violenza che le donne in quanto donne, per la colpa inevitabile ed esclusiva di essere donne, bianche o nere, povere o ricche, credenti o no, hanno in sorte di dover patire. L’uomo ha usato il fuoco per annientare i portatori di idee inammissibili, gli scopritori di verità indicibili, i responsabili di comportamenti insubordinati: ma erano corpi di donne senz’anima quelli che bruciavano sui roghi splendenti nella civiltà buia degli uomini, corpi di creature adunque perfino inadatte ad avere idee temibili, perfino incapaci di dire qualsiasi verità aberrante, e la cui insubordinazione consisteva nel fatto medesimo di essere donne. Nessun uomo in quanto maschio è mai stato esposto a un simile potere. Un potere che amministra i diritti della donna abbandonandola al governo di chi sottopone a giudizio la sua vita e gliela sequestra, coarta le sue ambizioni, si impadronisce del suo corpo imponendo che esso viva secondo regole altrui, e con il diritto di violentarlo sino a ucciderne la vita quando si incapriccia di non rimanere più soggetto alla prepotenza della regola maschile.

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Le donne, da sempre, subiscono in quanto donne la violenza che su di loro gli uomini esercitano in quanto uomini, e al più possono contare sull’accidente di un marito che non si vale in modo completo del diritto di sopraffazione che la società degli uomini in ogni caso gli attribuisce: ed è la condizione di integrità casuale di chi può essere fatto schiavo ma sfugge alla schiavitù giusto perché è scampato alla retata del negriero.  Pure, le donne continuano a stare con noi, a sposarci, ad accogliere il nostro seme. E a vivere nella desolazione, nel terrore, nella disperata solitudine la responsabilità di generare l’ennesima vittima o l’ennesimo esecutore di questa violenza senza fine.