Lo spagnolo eliminato al secondo turno
Us Open, le storie opposte di Alcaraz e Van De Zandschulp: da “non voglio più stare in campo” a “riparto dai challenger per giocare di più”
“Ho lottato contro me stesso e la mia mente. Invece di fare passi in avanti, ho fatto passi indietro a livello mentale”. E poi: “Mentalmente non sto bene, non sono forte e questo è un problema. Non posso stare così se voglio vincere un torneo come questo, oggi giocavo contro di lui e anche contro me stesso. Ho avuo alti e bassi, è stato come andare sulle montagne russe”. A parlare il Carlos Alcaraz, tennista spagnolo numero 3 della classifica Atp, nonché vincitore nel 2024 di ben due dei quattro tornei dello Slam (Roland Garros e Wimbledon) oltre all’argento conquistato alle Olimpiadi di Parigi in una finale memorabile persa contro Novak Djokovic.
Stanotte Alcaraz, che probabilmente alla vigilia era il favorito degli Us Open (più di Sinner e Djokovic), è stato eliminato al secondo turno. Una sconfitta inaspettata che, senza togliere i meriti al tennista olandese Botic Van De Zandschulp (numero 74 del mondo che mesi fa pensava al ritiro dopo l’eliminazione agli Internazionali di Roma salvo poi ripartire dai Challenger, tornei minori, per giocare più di 1-2 partite alla settimana), è solo merito di Alcaraz stesso. Un 3-0 netto con lo spagnolo che con la testa era altrove.
Alcaraz: “Non colpivo bene la pallina, o troppo avanti o troppo dietro”
Nel post partita lo sfogo di Alcaraz è eloquente: “All’inizio della partita ho faticato a prendere le giuste distanze, ho commesso molti errori e non vedevo bene la pallina: o la prendevo troppo dietro o troppo a avanti, poche volte l’ho colpita nel punto dolce. E’ stato tutto molto strano”. Il calendario è molto duro, ho giocato molte partite. Vengo da un’estate favolosa, con le vittorie al Roland Garros e a Wimbledon, e pensavo di aver capito che per ottenere grandi cose bisogna essere mentalmente forti. Ma questa volta non sono stato abbastanza forte mentalmente, non sono stato in grado di rispondere a certi problemi. Forse sono arrivato allo US Open senza l’energia che credevo invece di avere”.
Alcaraz, la racchetta distrutta a Cincinnati: “Non volevo più stare in campo”
Appena dieci giorni fa, dopo l’eliminazione al secondo turno nel torneo Master di Cincinnati, Alcaraz ha distrutto la racchetta nel corso della gara persa con il francese Gael Monfils. Anche in quella circostanza ha sottolineato: “Non so cosa sia successo, non sono riuscito a controllarmi o a migliorare. Era impossibile vincere”. Poi ha aggiunto: “In alcuni momenti avevo voglia di rompere la racchetta. Non mi era mai successo perché potevo controllarmi e migliorare durante le partite. Oggi non potevo perché non giocavo nessun tipo di tennis ed è stato molto frustrante. Non volevo più stare in campo”.
Ecco questo “non volevo più stare in campo” è tornato anche agli Us Open. “Forse sono una persona che ha bisogno di più riposo prima dei grandi tornei, ci penserò e imparerò da questo”.
La lezione di Van De Zandschulp: dal ritiro ai challenger per giocare di più
Se Alcaraz è arrivato sfinito agli Us Open dopo una stagione intensa e soddisfacente, l’olandese Botic Van De Zandschulp ha fatto esattamente l’opposto. E’ ripartito dal basso perché ‘stanco’ di giocare massimo 1-2 partita per ogni torneo Atp o Slam. L’olandese dopo l’eliminazione al primo turno del Roland Garros, lo scorso maggio, aveva preso in considerazione l’ipotesi di chiudere la sua carriera a 28 anni. La spiegazione è semplice: “Dopo il Roland-Garros mi sono preso qualche settimana di pausa. Il circuito è difficile, puoi giocare bene ma rischi di giocare solo due partite a settimana. Se non sei testa di serie in un torneo, puoi affrontare ad esempio Sinner al primo turno e ancora Sinner al primo turno. Puoi giocare bene, ma alla fine perderai molte partite. Quindi sì, avevo bisogno di un po’ più di fiducia per vincere le partite, giocare più partite. Questo è quello che ho fatto. Dopo Wimbledon, ho giocato qualche challenger in Europa per cercare di mettere insieme le partite e questo ha rafforzato la mia fiducia”. “Ovviamente -aggiunge – i challenger sono diversi dai tornei Atp, ma guardando indietro alla fine non è stato poi così difficile”.
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