Tra poche ore conosceremo il nome del successore di Joe Biden? Difficile dirlo. Molti opinionisti americani ritengono che la strategia di Donald Trump sarà quella di dichiararsi vincitore un minuto dopo la chiusura delle urne, pronto – se sconfitto – a scatenare una battaglia legale, e forse non solo legale, in tutti gli Stati in bilico (“swing States”). Sono almeno sette: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin, e con i loro 93 grandi elettori rappresentano il vero ago della bilancia dello scrutinio federale.

Il principio del “Winner Takes All”

Mentre scriviamo, non è ancora possibile fare previsioni affidabili sull’esito del voto (lo dimostrano i sondaggi ballerini della vigilia). Lo impedisce il sistema elettorale degli Usa. Come è noto, esso si basa sul principio del “Winner Takes All” (il vincitore prende tutto), per cui il candidato che ottiene la maggioranza dei voti popolari in uno Stato ottiene tutti i grandi elettori di quello Stato (ad eccezione di Nebraska e Maine, che utilizzano un sistema misto).

È invece certo che gli eventi traumatici del 6 gennaio 2021, ovvero il primo passaggio di poteri non pacifico dai tempi della Guerra civile (1861-1865), hanno aperto una ferita nella democrazia americana, che non si è ancora rimarginata. Il tycoon newyorkese però non è nato dal nulla. È solo il sintomo più evidente di fratture profonde che si sono sedimentate nel tempo: geografiche, demografiche e sociali. I due partiti principali incarnano ormai una contrapposizione tra due visioni del mondo inconciliabili, che può mettere in discussione le regole del gioco democratico.

Fra il 2016 e il 2020 i voti a favore dei repubblicani sono diminuiti in tre quarti delle aree metropolitane e aumentati in due terzi delle contee rurali. Eminenti studiosi del bonapartismo (o cesarismo) – da Tocqueville a Weber a Franz Neumann – concordano sul fatto che esso è sorto e si è imposto in un contesto democratico (mentre “l’enigma del consenso” al Partito nazionalsocialista dei lavoratori nelle elezioni del 1933, per riprendere la formula del biografo di Hitler Ian Kershaw, resta ancora tale nonostante i fiumi d’inchiostro versati per analizzarlo).

Si può affermare anche nel contesto democratico americano? Cioè in un contesto dove l’occupazione del Campidoglio – un vero e proprio tentato golpe – sembra non aver scalfito i fan di Trump, che oggi prosegue la sua corsa verso la Casa Bianca con il sostegno attivo dell’uomo più facoltoso del pianeta (Elon Musk), con quello passivo dell’uomo che lo segue a ruota (Jeff Bezos) e perfino con lo scudo penale offertogli dalla Corte Suprema? Il rischio c’è.