Un’operazione militare speciale in Messico, ecco un’idea che sta maturando tra le file dei candidati repubblicani alla Casa Bianca seguendo un’ipotesi già lanciata da Donald Trump, quando era presidente. È un’idea che a destra diventa sempre più popolare, tanto quanto diminuisce il tifo per l’Ucraina di fronte all’invasione russa perché il “tax payer” americano si rende conto di quanti dollari escano dalle sue tasche per quella guerra lontana.

Ma il Messico eccita sia nuovi che antichi risentimenti aggressivi di cui l’ala trumpiana, che vale circa il 43% dell’elettorato, si fa portavoce e fa capolino in tutti i comizi degli aspiranti candidati del GOP alla nomination presidenziale compr4si lo stesso Trump e il governatore della Florida, Ron DeSantis.

Se Putin ha cercato di giustificare l’invasione dell’Ucraina con il fantasioso pretesto di eliminare nuclei di nazisti da cui la Russia si sentiva minacciata, Trump, Ron DeSantis e tutti i candidati del GOP stanno diffondendo nel loro tam-tam il minaccioso aut-aut: se i messicani non sono capaci di eliminare per sempre tutti i narcotrafficanti che avvelenano gli Stati Uniti, allora verremo noi con i nostri Marines a fare ciò che avreste dovuto fare voi.

Si tratterebbe di una vera “operazione militare speciale” del genere cui la politica americana è molto affezionata dai tempi della “Dottrina di Monroe”, con il pretesto di vietare intrusioni straniere sul suolo del continente , gli Sati Uniti sono intervenuti un po’ ovunque, dal Brasile a Panama, a Grenada, alla Baia dei porci a Cuba, in Nicaragua perché queste operazioni sono parte della loro genetica storica: l’inno dei Marines cita due vittorie leggendarie all’estero ricordando “the halls of Montezuma” e “the shores of Tripoli”. La “sale di Montezuma” citano la feroce battaglia fra americani e messicani fra le rovine del castello azteco di Chapultepec, mentre l’accenno a Tripoli ci ricorda un celebre blitz contro un pirata libico che aveva sfidato la Navy americana.

Ciò che fa impressione oggi, è che un gruppo di politici repubblicani di rango, tutti più o meno in corsa per vincere la candidatura alle prossime elezioni presidenziali, parli sempre più apertamente della necessità, anzi del dovere degli americani di scatenare una azione militare con cui portare a termine “the job” che toccherebbe all’esercito e alla polizia messicani.

La situazione messicana è del resto davvero fuori controllo dal momento che le bande dei “narcos” girano ormai su pick-up con torretta e mitragliera, spavaldamente, pesando davanti alle forze cdi polizia messicane loro sottomesse. I narcos controllano sempre di più il territorio messicano incontrastati da un governo spaventato e che conduce una politica di pigro contenimento frenato dalla corruzione.

E poiché la produzione della droga è destinata quasi per intero al mercato americano, è innegabile che gli Stati Uniti subiscano un danno gravissimo dai cartelli di cui quello di Sinaloa è, secondo il National Drug Intelligence Center, il più potente del mondo. I danni sono enormi e la situazione incancrenisce eccitando lo spirito di ritorsione americano: “Se non lo sai fare tu, in casa tua, allora veniamo a farlo noi al tuo posto e in casa tua”. Trump ha detto che “gli Stati Uniti hanno un oceano a destra e uno a sinistra, un vicino di sopra e uno di sotto e queste sicurezze non devono essere mai minacciate”. Il dato di fatto è che la parte politica che negli Stati Uniti guarda con simpatia alle imprese di Putin, mediti la sua “operazione militare speciale” in una Ucraina che si chiama Messico.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.