È necessario oggi rilanciare l’attualità e le opportunità di avviare una riflessione ed una sperimentazione diffusa in tema di rigenerazione urbana. Tutti condividiamo che beni e spazi rigenerati sono tali solo se sono abitati e, pertanto, se generano un impatto sulla comunità. La riflessione si snoda su alcuni elementi chiave.

In primo luogo non è stata raccolta l’indicazione fornita dalla Corte costituzionale nel lontano 2003 (con la sentenza n. 303), all’indomani della riforma del Titolo V della Costituzione e, in particolare, con la sostituzione delle precedenti materie dell’edilizia e dell’urbanistica con quella nuova del governo del territorio. La Corte dimostrò efficacemente che la nuova materia del governo del territorio non era la mera sommatoria delle due precedenti materie, ma incorporava tutti i possibili usi del territorio, anche di tipo innovativo, diversi dalla tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali. La rigenerazione urbana, dunque, era ed è riconducibile al governo del territorio. Ha ragione chi individua nella mancata riforma urbanistica un’assenza di risposta – innovatrice – dell’ordinamento statale, avendo fatto le leggi regionali quello che potevano fare in un assetto di materie concorrenti, ovverosia condivise fra Stato e Regioni.

Il secondo elemento è che la rigenerazione urbana sta avendo una nuova stagione non tanto attraverso una legislazione dedicata, quanto piuttosto per il tramite di progetti, beninteso previsti da leggi, generali, settoriali e speciali. Oltre al PNRR, richiamato dai precedenti interventi, e alle iniziative recenti dell’Agenzia del Demanio (in particolare, con i Piani Città), paiono interessanti alcune progettualità attivate a livello territoriale; il riferimento è ai bandi sulla rigenerazione urbana della Regione Emilia-Romagna e l’utilizzo della co-programmazione, prevista dal Codice del Terzo settore (CTS), per la rigenerazione urbana di compendi immobiliari per finalità giovanili (Comune di Parma) e per finalità sociali, culturali e di economia sociale (Comune di Verona). L’esperienza della Regione Emilia-Romagna può dirsi oramai periodica (bandi del 2019, del 2021 e del 2024) e ha alcuni elementi di significativa rilevanza; in primo luogo, si tratta di un’azione di sistema, promossa in favore degli enti locali, e ciò mediante mirate azioni di presentazione degli atti della procedura, di accompagnamento – anche con momenti formativi e di messa a disposizione di bozze di atti – ai fini della presentazione delle proposte progettuali, ma anche dopo il relativo finanziamento.

L’elemento più innovativo va poi ricercato nell’allargamento del concetto di rigenerazione, non limitata alla sola dimensione fisica dei beni e degli spazi, ma anche e soprattutto al superamento della condizione di disagio sociale. Inoltre, tutti i bandi fin qui svolti riconoscono significative premialità per i progetti che attivino processi partecipativi con i cittadini, singoli e associati, o forme di Amministrazione condivisa con enti del Terzo settore (ETS), ai sensi del richiamato CTS, e per soluzioni progettuali e materiali capaci di generare misurabili obiettivi in termini di sostenibilità ambientale. Infine, avendo l’iniziativa regionale quale assunto di base quello di incidere sulla comunità utilizzando i beni da rigenerare come leva, assume rilevanza centrale anche l’elemento della sostenibilità economico-gestionale. La rigenerazione urbana, in sintesi, come processo attivatore (abilitante per Maurizio Carta) di trasformazioni durevoli.

L’esperienza della co-programmazione, svoltasi a Parma, costituisce una delle prime applicazioni della co-programmazione in ambiti finora inusuali; per rigenerare un compendio immobiliare (c.d. ex WOPA) per finalità giovanili l’Amministrazione ha – in coerenza con i propri indirizzi – avviato un procedimento, finalizzato ad acquisire contributi di conoscenza e di proposta da parte degli ETS e degli altri soggetti ulteriori (36 in totale). L’esperienza di Parma ha restituito una lettura dei possibili sviluppi dell’area più ricca di quanto potesse fare da sola l’Amministrazione; decisiva è stata, al riguardo, l’attività di facilitazione e di accompagnamento dei tavoli, affidata ad un soggetto terzo, qualificato e terzo anche rispetto al Comune; infine, la centralità della questione della gestione dei beni rigenerati.

Infine, l’esperienza del Comune di Verona, di imminente lancio, anche questa di co-programmazione di un vasto compendio immobiliare (Area del c.d. Forte Santa Caterina). Numerose le peculiarità di questo percorso. Si tratta, in primo luogo, di un progetto PINQUA, a valere sulle risorse del PNRR, nel quale l’ente locale ha deciso di co-programmare gli usi del compendio da rigenerare, superando il tradizionale schema (prima i lavori e poi la gestione degli spazi e l’affidamento dei servizi). Ancora, da un punto di vista politico, un coordinamento stabile fra i tre Assessorati interessati (Lavori pubblici, Terzo settore e sociale), per poi passare ai tre obiettivi di sostenibilità da raggiungere (ambientale, sociale ed economica).

Gli esempi sopra richiamati dimostrano che è possibile cambiare il modo di costruire le politiche pubbliche delle nostre città, usando, fra l’altro, la rigenerazione dei beni ed i contratti pubblici come leva, in modo strategico, per conseguire altri obiettivi di interesse generale (sociale, ambientale, culturale e così continuando). La scelta degli obiettivi da conseguire e la relativa entità attesa riconduce il tutto alla dimensione politica, con la conseguenza che un processo di rigenerazione urbana è sì un procedimento, un progetto, un affidamento di un contratto, ma prima ancora è decisione politica, spazio della discrezionalità politica, chiamata, sovente, a bilanciare i diversi interessi, pubblici e privati, fra loro in antitesi.

Emerge, pertanto, la cosiddetta intenzionalità dell’impatto, che l’amministrazione comunale si aspetta di verificare e misurare a valle del processo di rigenerazione. E questa prospettiva, riconducibile all’innovazione sociale e all’economia sociale, che stanno ricevendo applicazione in ambito europeo (Raccomandazione europea sull’economia sociale del 2023), nazionale (Portogallo, Italia con il Fondo per l’Innovazione Sociale e la Spagna), ma anche regionale (Scuola di Innovazione sociale della Regione Umbria, recente istituzione da parte della Regione Emilia-Romagna dell’HUB Ricerca e Innovazione sociale) e locale (piano per l’economia sociale delle Città metropolitane di Bologna e di Torino), apre nuove frontiere di intervento, ma richiede anche corrispondenti glossari, culture e strumentazioni per i nostri enti locali.

Si è già detto della visione politica, ma anche del personale pubblico chiamato ad usare in modo strategico le norme ed i contratti pubblici per attivare, ad esempio, processi di rigenerazione urbana, sociale ed ambientale orientati all’impatto sulle comunità di riferimento. A tale riguardo, si potrebbe ragionare di costituire centri di competenza sulla rigenerazione urbana (statale e regionali), aperti alla partecipazione degli attori, dei sostenitori e degli alleati. Infine, un diverso e nuovo modo di reperire risorse pubbliche, anche nelle forme innovative previste dall’ordinamento (ad esempio, art bonus, social bonus, raccolta fondi ed altro ancora), nonché di fare rendicontazione pubblica. Anche attraverso la digitalizzazione, dare conto ai cittadini e ai finanziatori, intesi in senso ampio, non solo della correttezza e del rispetto nei tempi per la realizzazione degli interventi di rigenerazione, ma soprattutto se ed in che modo questi ultimi abbiano inciso nella vita di chi abita o usa i luoghi rigenerati o, comunque, il territorio oggetto di interventi di rigenerazione.

Le esperienze in atto dimostrano che la PA deve osare, senza paura di sbagliare, alla ricerca continua di soluzioni, anche valorizzando le diverse forme di partenariato pubblico-privato, previste dall’ordinamento, capaci di generare condizioni di buon vivere, che è il fine primo ed ultimo degli enti locali.

Luciano Gallo

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