Si avvicina, a passi lenti ma inesorabili, la stagione del vaccino anti-Covid. A occhio e croce sarà l’ennesimo bagno di sangue della sanità pubblica. Ritardi, disfunzioni, approssimazioni, incompetenze sono la cifra ordinaria della pubblica amministrazione italiana che la pandemia ha semplicemente messo a nudo, smascherato in ogni suo meandro e disvelato in ogni sua ipocrisia. In tutto questo affannarsi di progetti, propositi e immancabili sprechi, un dato resta latente, ignorato, tenuto scaramanticamente fuori dalla porta di ogni discussione. Molti italiani non intendono vaccinarsi e questi molti sono davvero tanti, ma tanti.

Non basteranno esibizioni pubbliche, campagne di marketing o testimonial a effetto per smuovere il corpaccione diffidente della popolazione a correre verso le floreali postazioni concepite dal commissario Arcuri per accogliere le persone da vaccinare. Non se ne parla. Anzi si ripete a ogni piè sospinto che il vaccino non sarà obbligatorio, non sarà imposto per legge e che si confida sullo spirito di collaborazione degli italiani. Si avverte puzza di imbroglio, ovviamente. Mettiamo pure da parte le furiose polemiche di qualche anno or sono sulla vaccinazione obbligatoria per gli studenti, sulle battaglie squinternate del popolo dei no-vax, sui provvedimenti del ministero della Salute che minacciavano di lasciare fuori dalle classi i bambini non vaccinati. Diciamo pure che quello era un altro mondo, un’altra epoca, un’altra storia e torniamo all’oggi. Un numero basso o insufficiente di vaccinati minaccia di travolgere il paese e la sua economia. Perché si aderisca in massa alla campagna di somministrazione sono indispensabili alcune precondizioni.

La prima è, ovviamente, che la popolazione abbia fiducia nel sistema pubblico e nelle sue scelte. Su questo versante non siamo messi bene. Su queste colonne, mesi or sono e tra i primi, avevamo scritto che l’app Immuni per il tracciamento dei contagi sarebbe stato un fallimento e i fatti ci hanno dato ragione. Qualcuno pensava di essere in Corea del sud o in Israele e ha invece scoperto quanto profonda sia l’arretratezza tecnologica della pubblica amministrazione italiana. Quel fallimento è la prova evidente di quanta scarsa collaborazione ci si possa attendere da cittadini diffidenti e sfiduciati. Certo, paradossalmente, potrebbe ora rendersi utile un sistema di tracciamento dei vaccinati per misurare il coefficiente di rischio di scuole, mezzi pubblici, locali, uffici, fabbriche e via seguitando. Una vera Immuni a rovescio. Non se farà nulla ed è troppo tardi.

La seconda precondizione è che scatti un effetto imitativo per cui la gente sia spinta a vaccinarsi tanto più vedrà crescere intorno a sé il numero di quelli che si sono fatti somministrare il farmaco. Naturalmente conta la buona volontà e che non funzioni il solito ragionamento della serie «vai avanti tu che a me vien da ridere». Difficile prevedere anche su questo versante un buon esito. Alla fine corriamo il rischio di avere i frigoriferi pieni di vaccini e code millimetriche davanti alla gioiose Primule plastificate di Arcuri. E quindi? Ecco in questi casi l’astuzia del diritto è sempre alle porte, pronta a soccorrere i governanti più imbelli e a tirarli fuori dagli impicci. Vaccinare, per carità, resterà sempre su base volontaria, ma se vuoi continuare a lavorare in fabbrica o in ufficio devi vaccinarti, se vuoi entrare a scuola devi essere vaccinato, se vuoi salire su un treno o in aereo devi esserlo, guai se vieni trovato su un mezzo pubblico senza esibire insieme biglietto e certificato di vaccinazione.

Superare un concorso, entrare in un locale pubblico e si potrebbe proseguire all’infinito, tutto soggiace alla medesima regola. Esistono da sempre precise norme che rendono dirigenti, proprietari, datori di lavoro i soli responsabili della sicurezza sanitaria dei propri ambienti, per cui la soluzione del problema verrà, come dire, dal basso. Sarà obliqua, senza alcuna necessità che chi governa metta le mani nella appiccicosa pasta dell’obbligo imposto tramite una legge ad hoc. Una coazione orizzontale, generata dalla preoccupazione di tanti di essere chiamati a rispondere dei contagi se non avranno imposto al proprio personale e ai propri sottoposti la vaccinazione anti-Covid.

All’incirca quanto sta succedendo per i tamponi, con la sola differenza che il vaccino, una volta somministrato, non necessita di ulteriori verifiche e controlli. Come dire, un vaccino è per sempre. La prospettiva potrebbe far storcere il naso ai puristi della cittadinanza, ai sacerdoti dei doveri civici, ai mistici della solidarietà sociale, ma è il segno di come l’ordinamento si pieghi a coprire i tragici vuoti che l’insipienza delle classi dirigenti genera nella società. Sostituire alla vaccinazione obbligatoria per legge il maquillage della coazione inter pares, l’escamotage dell’imposizione tra cittadini, fondata su gerarchie sociali ed economiche cui non ci può sottrarre, è un pessimo esempio e un grave fuga dalle proprie responsabilità.

L’articolo 32 della Costituzione recita che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»; una norma che non consente trucchi o scorciatoie, né obliquità causidiche. A chi immagina di lavarsi le mani del problema – grave e impellente – di sancire l’obbligatorietà o meno del vaccino e di scaricare sulla popolazione il “ricatto” pandemico, occorre ricordare che la volontà popolare ha ancora un suo tempio, il Parlamento, ed è lì che si deve affrontare la questione, senza bisogno di kapò chiamati a fare il lavoro sporco tra i consociati.