"Folle paragonare il vaccino obbligatorio alle leggi razziali"
Varianti covid e obbligo vaccino, lo scienziato Ballabio: “Se il virus continua a mutare renderà inefficace il siero”
«Napoli e le università dovrebbero camminare di pari passo, anche nella prospettiva di un nuovo centro biomedico di eccellenza da realizzare, magari, a Città della Scienza. Ecco perché vorrei che alla guida di Palazzo San Giacomo, tra qualche mese, ci fosse uno come Gaetano Manfredi che coniuga le competenze del manager con quelle del rettore e del ministro». Ne è convinto Andrea Ballabio, scienziato di fama mondiale, direttore del Tigem di Pozzuoli e ordinario di Genetica medica all’università Federico II, che al Riformista offre la sua visione dell’emergenza sanitaria in atto e del futuro di Napoli.
Professore, qual è la situazione Covid in questo momento a Napoli e in Campania?
«Qui, come nel resto del Paese, ora c’è la variante Delta che ha preso il sopravvento, simile a quello che successe con la variante inglese. Il virus muta e diventa più contagioso. Finora, per fortuna, nessuna di queste varianti sfugge alla protezione del vaccino che risulta efficace sia per prevenire l’infezione sia per prevenire l’insorgenza di sintomi significativi. Ovviamente, avendo allentato le restrizioni, è chiaro che il virus stia circolando di più ma circola tra chi non si è vaccinato e che, propagandosi, muti. Questo è il pericolo: se continua a mutare, il vaccino non sarà più efficace per le nuove varianti e ci troveremo punto e a capo».
Cosa pensa della scelta del Governo di rendere obbligatorio il green pass per poter accedere a numerose attività?
«Sono d’accordo con questa linea. Credo sia sbagliato non rendere obbligatoria la vaccinazione ritenendo di dover rispettare la libertà delle persone. Non vaccinarsi significa non rispettare la libertà di chi vorrebbe vivere in un mondo senza Covid. Trovo folle che la gente stia paragonando il vaccino obbligatorio alle leggi razziali, è davvero un’eresia. Sono teorie che ho difficoltà a comprendere. Una delle più grosse conquiste della medicina, anzi dell’uomo, è stata proprio il vaccino: oggi abbiamo
una terribile epidemia in corso e ci si meraviglia che si parli di vaccino obbligatorio».
Le statistiche rivelano che nei quartieri periferici di Napoli c’è una minore adesione alla campagna vaccinale. Secondo lei la politica ha sottovalutato le disuguaglianze presenti sul nostro territorio?
«Credo di sì. Secondo me, però, i motivi per cui le persone non si vaccinano sono essenzialmente due. Il primo è riconducibile alla disinformazione e alla superficialità con la quale si spiega alla gente l’importanza del vaccino e i pericoli del Covid. Il secondo è che una parte delle persone sono influenzate da alcuni personaggi politici che cavalcano l’onda del populismo per attrarre l’attenzione su di sé, dicendo frasi pericolose per accaparrarsi i voti di quella fetta di elettorato con un livello culturale basso».
Come se ne esce?
«Bisognerebbe fare una capillare campagna di informazione, utilizzando più mezzi, che spieghi bene alla gente quanto è pericoloso il virus rispetto a un vaccino che ha pochissimi effetti collaterali e quanto i casi di effetti collaterali veramente seri siano rari. Non basta l’intervista di un bravo professore in tv per far capire alla gente determinate cose, serve un linguaggio semplice».
Ultimamente, però, Napoli non sembra fare rima con eccellenza: l’università Federico II, nella quale lei insegna, è in fondo alla classifica dei mega-atenei stilata dal Censis. Sembra che ci sia quasi uno squilibrio tra ciò che l’ateneo offre alla città e viceversa. Lei cosa pensa?
«Credo che, da un lato, la città potrebbe e dovrebbe fare di più per l’università, ma anche per altri tipi di attività professionale. Napoli non è una città facile, non favorisce formazione e lavoro. Quelli che come me dirigono un istituto di ricerca, il cui obiettivo è quello di reclutare talenti che abitano in altre zone d’Italia o d’Europa, si scontrano proprio con questo tipo di problemi. Un ricercatore straniero che arriva qui a lavorare sicuramente incontra molte difficoltà dal punto di vista logistico e organizzativo. La Federico II è senz’altro un’università di livello, ma potrebbe fare di più. Direi che università e città dovrebbero camminare di pari passo e ora c’è anche l’opportunità di farlo».
A cosa si riferisce?
«Alla candidatura di Gaetano Manfredi, ex rettore della Federico II e ministro dell’Università e della Ricerca. Con lui alla guida del Comune, il gap tra città e università
potrebbe essere colmato. E poi mi piacerebbe vedere tanti giovani in giunta comunale: credo che le forze giovani possano davvero contribuire in maniera importante alla rinascita di Napoli».
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