Gli spari sopra sono sempre per gli altri, i cattivi, quelli sbagliati. E che Siamo solo noi – quelli che sbagliano, per l’appunto, che si perdono, che non si sanno limitare, che non hanno più rispetto per niente, che non ha voglia di far niente, generazione di sconvolti – lo aveva già scritto e cantato Vasco Rossi quando fu arrestato per droga. Si fece oltre 20 giorni di carcere, come ha ricordato nel suo messaggio di solidarietà ai detenuti in occasione della maratona oratoria organizzata dalla Camera Penale ‘Franco Bricola’, in collaborazione con l’Osservatorio del Carcere. “Questa pandemia globale ha messo in ginocchio il mondo ed è stata una tragedia epocale, è stata dura per noi fuori, posso immaginare come sia stata per voi dentro – ha detto nel suo messaggio il rocker di Zocca – Oltre alla condizione dell’essere in carcere che tra l’altro conosco, perché è una condizione che ho provato e quindi capisco la vostra rabbia e tristezza. Io ho cercato di fare tesoro di quell’esperienza, per cercare di diventare più forte per affrontare poi i problemi che ci sono nella vita – ha continuato, citando un suo brano – Vi consiglio di fare altrettanto, di dare un senso a questa situazione, anche se questa situazione un senso non ce l’ha”.
Parole che istituzioni, politici, passati ministri della Giustizia, non si sarebbero mai sognati di dire. Anche se in Italia al 28 febbraio 2021, secondo il rapporto di Antigone i reclusi in Italia sono 53.697, con un sovraffollamento del 115%. 61 i suicidi in cella: mai così tanti. Ma questa non è mai un’emergenza. E andava bene, bene così anche nel 1984. Rossi aveva appena pubblicato il primo album dal vivo, Va bene, va bene così, per l’appunto. L’anno prima era stato il turno di Bollicine, per Rolling Stone il miglior album italiano della storia. Bollicine stessa, la title-track, con i suoi riferimenti, una critica per niente velata al capitalismo e alle logiche pubblicitarie, era stata criticata per essere un riferimento non troppo più velato alla cocaina. Rossi era già il rocker maledetto, il cantante della vita spericolata, quello che aveva portato al Festival di Sanremo Vado al massimo e la stessa Vita spericolata.
Era per Nantas Salvalaggio “un bell’ ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con gli occhiali fumè dello zombie, dell’alcolizzato, del drogato ‘fatto’”, come aveva scritto il giornalista criticando la Rai che lo aveva ospitato durante una puntata di Domenica In nel 1980. L’agente Guido Elmi, mesi prima, aveva dovuto anche annullare alcuni concerti per via della dipendenza di Vasco da anfetamina e Lexotan.
L’arresto
Il 20 aprile Rossi è al locale Variety, appena aperto da Bibi Ballandi a Bologna, con Guido Elmi, Maurizio Lolli e Beppe Tondi, tutti membri della sua squadra. La settimana dopo c’è la diretta con la trasmissione Blitz di Gianni Minà per celebrare “quelli che hanno fatto grande Bologna”. Un sopralluogo. Il cantante ha gli occhiali da sole, jeans, sta bevendo un whiskey quando si avvicinano due carabinieri in borghese. “Lei è Vasco Rossi?”. Lui annuisce e sorride, li segue. “Vado con questi due amici, ci vediamo tra un po’”. La Repubblica dell’epoca racconta che prima va in caserma, quindi in una perquisizione al capannone nella zona industriale di Casalecchio di Reno, dove vive e dove spesso ospita gli amici e la sua band, e dove ha messo su uno studio di registrazione, vengono trovati 26 grammi di cocaina.
Secondo gli inquirenti sono gli avanzi di una partita comprata mesi prima ad Ancona del valore di circa 100 milioni. L’inchiesta coinvolge centinaia di persone – una trentina gli arresti in quei giorni tra Verona, Milano e la Calabria – e ipotizza le Marche come punto di raccordo del traffico tra la Sicilia e Verona. Tutto parte prima dalla scoperta di una base di spaccio a via Magenta ad Ancona e poi di una villa di Civitanova Marche come luogo di coordinamento. Ancona è sconvolta: dall’inizio dell’anno sono già quattro i giovani morti per overdose.
Il carcere
Il nome di Vasco Rossi salta fuori da un’agenda con nomi, indirizzi e recapiti telefonici di uno spacciatore. “Detenzione di non modiche quantità di sostanze stupefacenti e spaccio non a scopo di lucro di modiche quantità”. Il cantante passa 22 giorni dietro le sbarre, cinque addirittura in isolamento, nel carcere di Rocca Costanza a Pesaro. La Repubblica cita un giornale di gossip dell’epoca che intervista la madre della rockstar: “La signora Novella Corsi grida a caratteri di scatola ‘Basta droga, pianta tutto e torna a casa’ dice che Vasco ‘beve troppo, prende un sacco di porcherie e ha sempre intorno una manica di sballati’”. L’istituto era stato scelto di nascosto per evitare manifestazioni e curiosità dei fan. Inutile: per giorni gruppi di persone si assiepano all’esterno del carcere per esprimere vicinanza al rocker di Zocca. Il leader dei Radicali Marco Pannella gli invia un telegramma.
Gli unici artisti a solidarizzare con Rossi, andando a trovarlo in carcere, sono Fabrizio De André e Dori Ghezzi. “Vasco Rossi è l’unico credibile nel ruolo di rocker in Italia. L’unico ad essere riuscito a portare la canzone d’autore nel rock”, dice Faber, da sempre fonte di ispirazione per Rossi, che quando ottiene la libertà provvisoria ed esce, il 12 aprile 1984, dice: “Va bene, va bene. Sono tutte esperienze della vita. Adesso torno al mio pubblico con entusiasmo e qualcosa in più”.
Il primo concerto dopo l’arresto, il 3 agosto 1984, a Milano Marittima allo Stadio dei Pini, Va bene, va bene così tour. Quelli che si aspettano dal nuovo album, Cosa succede in città, del 1985, il racconto delle sue (di Vasco) prigioni, resta deluso. Qualche cenno nella traccia di apertura Cosa c’è. Il processo lo scagiona infine dall’accusa di spaccio ma lo condanna a due anni e otto mesi con la condizionale per detenzione di sostanze stupefacenti.
Non mancherà mai di stigmatizzare quegli anni, la vita troppo spericolata, l’uso e l’abuso di droghe, che provò tutte tranne l’eroina. La stessa che nel maggio 1999 stronca Massimo Riva, suo chitarrista, leader della Steve Rodgers band che aveva accompagnato per anni Rossi, autore con lui di capolavori come Stupendo e Vivere, suo figlioccio e sodale dai tempi di Punto Radio, la radio libera fondata dal rocker a Zocca. paese di circa 5mila abitanti in provincia di Modena, l’inizio di tutto. “Massimo era il mio fratello minore. era anche venuto a vivere insieme a me, sul palco lui era il mio Keith Richards. Quando se ne è andato l’ho vissuto un po’ come un tradimento, ma Massimo è vissuto e se ne è andato come ha voluto. Lo ricordo ogni volta, una parte di lui vive ancora oggi dentro di me, quindi non se ne è mai andato del tutto”. In ogni concerto Rossi lo ricorda dedicandogli Canzone.