«È Gennaro Vecchione che ha individuato Giuseppe Conte e lo ha valorizzato a partire dal 2017 agli occhi del Movimento e della Lega, due partiti-taxi vicini per ragioni diverse alla figura di Vecchione». Ecco quindi perché ragionevolmente Giuseppe Conte, preso in contropiede sui servizi, ha telefonato stizzito a Draghi, protestando per essere stato tenuto fuori dagli avvicendamenti di questi giorni. Non per caso. Senza che trapelasse niente, giovedì scorso il prefetto Gennaro Vecchione è stato rimosso in fretta e furia dal suo incarico.

Il blitz di Draghi ha sorpreso tutti: l’ex generale delle Fiamme gialle è stato sostituito al vertice del Dis – il Dipartimento Informazioni per la Sicurezza – da Elisabetta Belloni. Non si è trattato di un avvicendamento di routine. La decisione politica è stata forte, assunta dal presidente del Consiglio insieme all’unica persona di cui si fida nel complicato mondo dell’intelligence, l’Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica Franco Gabrielli, ex capo della polizia. Il Dis – per capirci – è l’organo di cui si avvalgono il premier e l’Autorità delegata per l’esercizio delle loro funzioni e per assicurare unitarietà nella programmazione della ricerca informativa, nell’analisi e nelle attività operative dei due rami dell’intelligence, Aise e Aisi.

Con l’approvazione da parte del Parlamento della legge 133/2012, voluta dal Copasir e votata all’unanimità, questo ruolo di coordinamento è stato ulteriormente rafforzato, in particolare per quanto riguarda l’analisi strategica di intelligence e la gestione unitaria delle risorse umane e materiali a disposizione del comparto. Una cabina di regìa che oggi accentra responsabilità e risorse, stabilendo l’agenda e le priorità anche operative. Gennaro Vecchione era stato indicato per il delicato incarico da Giuseppe Conte, che aveva promosso l’ex comandante della Guardia di Finanza al rango di Prefetto già il 13 dicembre 2018, nominandolo immediatamente dopo al vertice del Dis. Uno dei primi atti del suo governo. Posizione alla quale si è premurato di rinnovarlo nel dicembre scorso. Sul legame tra Vecchione e Conte si è scritto molto. Si racconta spesso che “le due mogli sono molto amiche”.

La consuetudine personale, famigliare, risale nel tempo e secondo il giornalista di inchiesta Paolo Fusi, consulente di business intelligence con la sua Ibi, affonda in una complicità che merita di essere sviscerata meglio. «È Gennaro Vecchione che ha individuato Giuseppe Conte e lo ha valorizzato a partire dal 2017 agli occhi del Movimento e della Lega, due partiti-taxi vicini per ragioni diverse alla figura di Vecchione». Per inquadrare il contesto si deve guardare alla Fondazione Sciacca. Molto defilata rispetto alla composizione dei suoi organi direttivi, è formalmente dedicata alla memoria di un giovane paracadutista morto in un incidente di volo. Vicina alla destra cattolica ultraconservatrice, ha come Presidente onorario il Cardinale Burke, l’arcinemico di Papa Francesco. La sua vera anima è don Bruno Lima, che lavora a L’Aquila e officia messa in latino.

La sede centrale, a Roma, è nel quartiere Aurelio a un tiro di schioppo dalla Link Campus University (dove nell’ottobre 2017 è scomparso l’enigmatico professor Joseph Mifsud) ed è circondata da ville e villette intestate ad altri enti religiosi. Il comitato direttivo non può passare inosservato: vi compaiono il vice capo della polizia, prefetto Vittorio Rizzi; il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti; il banchiere Ettore Gotti Tedeschi, già direttore dello Ior; il leader della, Lega Matteo Salvini. Il leader leghista è stato anche presidente della Fondazione Sciacca durante il periodo del suo ministero, governo Conte I. Poi, parallelamente alla parabola discendente con il Viminale, ha lasciato. È in questo contesto che figura da anni sul sito web della Fondazione il nome di Gennaro Vecchione. Ancora oggi, mentre andiamo in stampa, il sito lo riporta come Direttore del Dis e il suo nome accompagna altri vertici militari, il presidente aggiunto del Consiglio di Stato, i rappresentanti dell’industria degli armamenti, un nobile casato dell’aristocrazia romana.

Un circolo dalle frequentazioni importanti, tanto esclusivo quanto riservato. Quasi esclusivamente maschile e tutto pendente a destra. Forse persino oltre la destra. «È una organizzazione contraria a Papa Francesco, legata a Qanon e ai suprematisti americani. Dietro a Qanon c’è Steve Bannon e Raymond Leo Burke, coordinati dall’avvocato Augusto Sinagra», continua Fusi. Il nome di Sinagra non è nuovo alle cronache. «Beh, un personaggio noto: tessera 2234 della P2, già avvocato di Licio Gelli, più volte indagato per rapporti con la mafia e la massoneria, militante di Casa Pound, è difensore e protettore del Colonnello Jorge Antonio Rivera e del Colonnello Carlos Luis Malatto, due fra i più sanguinosi aguzzini della giunta militare argentina di Videla, amici di Gelli, che oggi vivono in Italia nascosti da Sinagra.

Sinagra e Vecchione hanno ottenuto grazie a Matteo Salvini l’utilizzo della Certosa di Trisulti per un’altra creatura della galassia presieduta dallo stesso Cardinal Burke, la Diginitatis Humanae Institute. La consorella della Fondazione Sciacca nel maggio 2019 riceve in prestito dallo Stato il magnifico monastero nel frusinate. Malgrado le proteste degli enti locali e l’incredulità della curia, Trisulti è stata assegnata a Steve Bannon. «È la vera sede della fondazione Sciacca», rivela Fusi. Che con Bannon vi ha stabilito una accademia del sovranismo europeo al riparo da sguardi indiscreti. «È stato Vecchione a presentare Conte a Grillo e Casaleggio nel 2017. Perché Conte viene da ambienti cattolici trasversali e autorevoli», prosegue Paolo Fusi. «Non necessariamente ostili a Bergoglio, intendiamoci. Si parla dell’Opus Dei. Ma si è messo in posizione tale da garantire gli uni e gli altri». Il ruolo del prefetto Vecchione è stato dunque centrale. Avrebbe ideato lui la strategia di messa in campo dell’Avvocato del Popolo, lavorando alle fondamenta della carriera politica di Conte.

«Vecchione è stato insostituibile per la fondazione Sciacca e per Conte. È stato lui a lavorare al trait-d’union tra Movimento e Lega. E la Fondazione ha potuto contare sul capo dei servizi segreti, significa avere accesso a tutta una serie di informazioni fondamentali». Sulla Sciacca si continua a sapere poco, a dispetto dei nomi che la animano e dei risultati che avrebbe prodotto. «È stata citata nei documenti delle investigazioni inglesi e americane su Cambridge Analytica, perché la Fondazione Sciacca ha fatto ricorso – sia chiaro: in modo assolutamente legale – alla consultazione di dati elaborati da Cambridge Analytica in nome e per conto del Movimento Cinque Stelle». Risulta agli atti dell’inchiesta su George Papadopulos e Robert Page, due consiglieri di Donald Trump condannati dal Senato americano per aver cercato di truccare le elezioni presidenziali americane. Carte che rientrano nel processo Russiagate ma che vedono la Fondazione Sciacca solo in qualità di cliente rispetto alla contestata azienda di trattamento dei dati, poi sciolta in seguito al processo nel Regno Unito. I misteri dietro alle attività della Fondazione sono intrecciati e affondano negli anni.

«Basti pensare che la Fondazione Sciacca è attiva da prima dell’ingresso in Parlamento del Movimento», di cui avrebbe seguito comunque i primi vagìti, anche entrando in contatto con Beppe Grillo. Che a onor del vero ha sempre declinato qualsiasi coinvolgimento. Ma il progetto di creare un Movimento con questo nome sarebbe passato grazie a Gianroberto Casaleggio. Un modello destinato a replicarsi: Steve Bannon si sta dando da fare per un nuovo soggetto suprematista “populista e nazionalista”, The Movement. Il 19 settembre 2018 Luigi Di Maio si era incontrato con Steve Bannon proprio per definire i rapporti tra Movimento e Movement, sotto la spinta della fondazione con sede sull’Aurelia. Ecco quale patto segreto avrebbe interrotto il blitz di Draghi e Gabrielli. Rimangono molti aspetti da chiarire per una storia tutta da scrivere. Certamente non aiuta chi la calcia in tribuna come Marco Travaglio: «La verità la conoscono tutti: Vecchione ha l’unica colpa di essere stato nominato da Conte, dunque dava noia ai due Matteo». La verità che non tutti conoscono, e a quanto pare neanche Travaglio, è che è stato piuttosto Vecchione a nominare Conte. È ora di accendere i fari sulla natura di qualche folgorante carriera politica, a costo di infrangere cuori.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.