Il IX Congresso di Nessuno tocchi Caino
Verso una giustizia consapevole
Il IX Congresso di Nessuno tocchi Caino è stato occasione per ritrovare conoscenze di vecchia data come Gherardo Colombo e Luigi Manconi, con cui la comunanza di pensiero era già assodata, e per scoprire nuove, profonde affinità di visione in ambito di giustizia. Il tema della nonviolenza è centrale nella mia formazione, grazie all’amicizia con la famiglia Gandhi, ed è fondamentale nell’approccio verso se stessi e verso il prossimo, anche a seguito di un reato. Quando una persona finisce in carcere, la responsabilità è collettiva, il fallimento è dell’intero sistema; quindi, non ha senso un approccio basato su giudizio, punizione, esclusione, emarginazione, che, peraltro, come evidenziano ampiamente i dati sulla recidiva in Italia, risulta inefficace in termini di sicurezza sociale. Ma c’è di più: questi atteggiamenti sono addirittura dannosi per la salute di chi li attua. La scienza ci dimostra che gentilezza, compassione, perdono, empatia, gratitudine, migliorano la nostra salute psico-fisica.
Ho avuto l’onore di divulgare questi studi con una ricercatrice di Harvard, la dott.ssa Immaculata De Vivo, esperta mondiale nel campo dell’epidemiologia molecolare e della genetica del cancro, attraverso il libro “Biologia della Gentilezza”, da cui è nato spontaneamente il Movimento Italia Gentile. Le evidenze sono chiare: dal mio benessere dipende il benessere dell’altro e viceversa. L’uomo è naturalmente predisposto a prendersi cura del prossimo. È il superamento del vecchio fraintendimento per cui sopravvivrebbe il più forte, inteso come il più aggressivo, competitivo. Mentre è la collaborazione la chiave, la vera strategia evolutiva vincente. Siamo tutti interconnessi, anche il Covid ce lo ha insegnato.
Per affrontare il tema della giustizia, quindi, serve il coinvolgimento di tutti: chi ha commesso un reato, gli operatori, le istituzioni, la comunità, ciascuno con le proprie responsabilità. La presa di coscienza di ognuno di noi produrrà un cambiamento, perché il pensiero modifica e genera la realtà. Per questo i nostri interventi nelle carceri attraverso l’Associazione My Life Design Onlus e progetti sociali come Liberi Dentro e “Caro amico ti scrivo…” sono incentrati sul saper Essere. Per integrare il passato, contattare e gestire il proprio ambiente interiore, fatto di emozioni, di pensieri, di credenze, e comprendere il senso profondo dell’esistenza e di sé. In questo modo inizia un processo di trasformazione e consapevolezza: smettiamo di essere violenti nel momento in cui ascoltiamo davvero noi stessi, liberi da falsi condizionamenti.
Un recente studio pubblicato dall’Università Cattolica di Milano, condotto in concomitanza con l’avvio di uno dei nostri percorsi, ha evidenziato la stretta relazione tra perdono, gratitudine e contenimento della rabbia tra le persone detenute. Il perdono, nel modello educativo del My Life Design, non ha nulla a che vedere col dimenticare, condonare o subire, ma è un processo attraverso il quale trarre un insegnamento da qualunque accadimento, anche il più terribile, che sia utile per la nostra vita e la nostra evoluzione. Si libera quel vissuto dal dolore, dal senso di colpa, dall’odio, avviando un processo di guarigione, che in virtù dell’interconnessione va a beneficio di tutti.
L’esperienza, il vissuto di chi sta scontando una pena detentiva, è uno specchio potente, rappresenta una parte di noi, che spesso rifiutiamo di riconoscere. Quando ho iniziato a entrare in carcere mi sono accorto che quelle persone erano maestri: potevo imparare dal loro dolore, dalla loro solitudine. E lo stesso vale ora per i tanti volontari della My Life Design Onlus che sono in contatto con altrettante persone detenute, mediante scambi epistolari. Creiamo insieme dei ponti, tra interno ed esterno, dei processi inclusivi, che stanno generando nuove consapevolezze e benessere. La sicurezza non si raggiunge con l’isolamento di chi ha sbagliato, con la privazione di libertà e dignità, ma attraverso l’inclusione, la giustizia sociale, l’educazione: occorre quindi una società di individui partecipi. Il modello proposto dal My Life Design è quello di una giustizia consapevole che consenta sia a chi ha subito un danno che a chi lo ha causato di rielaborare il proprio vissuto, in un processo di autentica trasformazione che porti speranza e armonia.
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