L'incontro di Teheran
Vertice in Iran, il doppiogiochista Erdogan incontra Putin e vince a metà
Il sultano gioca su due tavoli. Uno, quello di Madrid (Nato), l’ha sbancato. Sull’altro, quello di Teheran (vertice a tre con Russia e Iran) deve accontentarsi di una mezza vittoria. Resta il fatto che su ambedue i fronti, Recep Tayyp Erdogan ha giocato un ruolo di assoluto protagonista. C’è un episodio, immortalato da un video che ha fatto il giro del mondo, che ne dà conto al meglio. Cinquanta secondi: è il tempo che Putin ha dovuto attendere prima che facesse la sua comparsa l’omologo turco per la conferenza stampa congiunta. Cinquanta lunghi secondi, con lo zar da solo nella stanza davanti le telecamere, in un momento estremamente imbarazzante.
Nel video dell’incontro, si vede il momento esatto in cui Putin entra nella stanza e rimane in piedi spazientito davanti i giornalisti, in attesa dell’arrivo del presidente turco. Secondo vari osservatori, Erdogan ha fatto aspettare Putin apposta. La ragione più immediata sarebbe che il presidente turco si è preso una piccola vendetta per una simile umiliazione subita da Putin nel marzo del 2020, a parti invertite: Erdogan e una fitta delegazione di ministri turchi si trovavano a Mosca, al palazzo del Cremlino, per incontrare Putin: il gruppo fu fatto aspettare in anticamera per più di due minuti, tanto che alla fine Erdogan, stanco di stare in piedi, si sedette. Putin è piuttosto celebre per questo genere di tattiche. In particolare, presentarsi in ritardo a incontri importanti, benché sia un espediente di fatto infantile, è uno dei tratti caratteristici del presidente russo, che spesso fa aspettare gli interlocutori per dimostrare il proprio potere.
Ma oggi, è il capo del Cremlino ad aver bisogno dell’uomo di Ankara, piuttosto che il contrario. Ecco allora Putin fare buon viso a cattivo ritardo e ringraziare Erdogan per la sua mediazione volta ad aiutare a “fare progressi” per un accordo sulle esportazioni di grano ucraino: “Non tutte le questioni sono risolte, ma è positivo che ci sono stati alcuni progressi”, rileva il presidente russo. Erdogan, dal canto suo, ha definito “molto positivo l’approccio” di Mosca durante i colloqui della scorsa settimana a Istanbul sull’export del grano dall’Ucraina. E ha anche espresso la speranza che venga raggiunto un accordo e ha aggiunto che “il risultato che verrà fuori avrà un impatto positivo sul mondo intero. Mezza vittoria, e non sbanco totale per il sultano, perché, a differenza del vertice Nato di Madrid, a Teheran gli altri due membri della “triade” (Russia e Iran) non gli hanno concesso mano libera per fare la pelle ai curdi. Un generico impegno a “continuare a lavorare insieme per combattere il terrorismo in tutte le sue forme” e a rigettare “tutti i tentativi di creare nuove realtà sul terreno, comprese iniziative illegittime di autogoverno”.
Ma nessun disco verde dall’Iran e dalla Russia all’offensiva militare della Turchia contro i curdi siriani. È quanto è emerso dal comunicato finale del vertice del gruppo di Astana sulla Siria. Ancora più categorico con la Turchia, rispetto al presidente iraniano Ebrahim Raisi, era stato nell’incontro bilaterale l’ayatollah Ali Khamenei, la guida suprema iraniana, che aveva ammonito che “qualsiasi intervento militare in Siria minaccerebbe la regione e andrebbe a beneficio dei terroristi” e a danno della Turchia. Un messaggio chiaro a Erdogan che negli ultimi mesi ha più volte espresso l’intenzione di lanciare una nuova vasta operazione nel nord della Siria con l’intenzione di creare una zona cuscinetto di 30 chilometri, con il pretesto di fermare le incursioni oltre confine delle milizie curde del Pkk. Una mossa che Erdogan accarezza anche per motivi di politica interna, in vista del voto presidenziale del prossimo anno, ma che sarebbe considerata dal governo siriano del presidente Bashar al Assad – sostenuto politicamente da Teheran e da Mosca – come un’aperta violazione della propria integrità territoriale.
Il documento finale del vertice, dunque, si concentra solo su ciò che oggi unisce i partner del gruppo di Astana, tornati a incontrarsi a due anni dall’ultimo vertice tenuto in forma virtuale nel 2020: la ricerca di una soluzione per allentare le tensioni nell’area di Idlib, l’opposizione alle esportazioni autonome di petrolio dalle aree controllate dai curdi siriani con il sostegno di Washington, la condanna dei raid aerei israeliani. Insieme all’auspicio che il Comitato sulla Costituzione possa continuare nell’ambito del Dialogo siriano nazionale a lavorare per definire un assetto della governance del Paese “senza interferenze straniere e scadenze imposte”. Anche se non è comunque chiaro nemmeno dove, dal momento che Mosca – alla luce degli sviluppi della guerra in Ucraina – oggi non considera più Ginevra una sede neutrale dove discutere. Sulle forti tensioni che ancora percorrono il territorio siriano, il presidente turco ha tenuto a precisare che “la minaccia maggiore all’integrità territoriale della Siria è il terrorismo”. Durante la conferenza, trasmessa dalla tv di Stato turca Trt, Erdogan ha menzionato i gruppi curdi Pkk e Ypg definendoli terroristi e ha fatto sapere che la Turchia si aspetta il sostegno di Russia e Iran nella lotta al terrorismo in Siria.
A Teheran è stato comunque fissato l’appuntamento di un nuovo vertice a tre del gruppo di Astana che dovrebbe tenersi in Russia entro la fine del 2022 e che ovviamente – come accaduto i a Teheran – non potrà non andare a intrecciarsi con l’evoluzione del quadro delle alleanze nella guerra in Ucraina. Nel frattempo, però, la guerra d’attrito al confine tra la Turchia e la Siria non si è mai fermata. Proprio mentre era in corso il vertice a Teheran vi sono stati due attacchi di droni turchi nell’arco di 24 ore a postazioni dell’esercito siriano a Tal Rifat. Secondo quanto riferito dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (Sohr) vi sarebbero stati due feriti tra i militari siriani. Da registrare oggi anche un incontro tra il comandante delle milizie curde siriane (Sdf) Mazloum Abdi con il generale Michael Kurilla, comandante delle operazioni statunitensi in Medio Oriente. Abdi ha espresso preoccupazione per la sicurezza della regione in merito alle minacce turche, soprattutto per l’impatto negativo che queste potrebbero avere sugli sforzi per combattere l’Isis, che sta cercando di riorganizzarsi. Da parte sua, il generale Kurilla ha ribadito l’opposizione degli Usa a qualsiasi operazione turca contro il nord e l’est della Siria.
Quanto all’asse Mosca-Teheran, a unire non è soltanto il sostegno al “macellaio di Damasco” ma anche l’avversione più ferrea alla Nato. “Un’organizzazione pericolosa” e se la Russia non fosse intervenuta in Ucraina, “la parte avversa avrebbe provocato una guerra”. A emanare la condanna senza appello è il leader supremo (politico, militare, e non solo religioso) dell’Iran. Il riferimento di Khamenei è alla Nato che ‘’se non fosse stata fermata in Ucraina avrebbe scatenato una guerra con il pretesto della Crimea’’. Perché, spiega l’Ayatollah capo ‘’gli occidentali sono totalmente contrari a una Russia forte e indipendente’’. Teheran e Mosca devono restare vigili contro “l’inganno occidentale”, ha sottolineato poi Khamenei, rivolgendosi a Putin, che ha inoltre caldeggiato una cooperazione a lungo termine tra Teheran e Mosca. Lo ha riportato la tv di Stato iraniana. Riferendosi alla crisi ucraina, Khamenei ha detto che “la guerra è un evento duro e difficile e l’Iran non è affatto contento che la gente comune ne soffra”. Ha aggiunto che “il dollaro Usa dovrebbe essere gradualmente tolto dal commercio globale e questo può essere fatto gradualmente”.
Putin non ha discusso delle forniture di droni né con il presidente iraniano Raisi né con il leader supremo Khamenei, come ha spiegato a Ria Novosti il collaboratore del Cremlino Yury Ushakov. Il contatto con Khamenei è molto importante”, aveva spiegato lo stesso Ushakov prima della visita, “sulla maggior parte delle questioni, le nostre posizioni sono vicine o identiche”. Centrale è la “diplomazia del gas”. Il patto russo-iraniano porterà a un’alleanza strategica nel settore petrolifero e potrebbe condurre a breve all’ingresso dell’Iran, come osservatore, nell’Unione economica eurasiatica (della quale fanno parte Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan). Nel frattempo, Mosca e Teheran hanno rafforzato la propria alleanza anche concordando un protocollo da 40 miliardi di dollari firmato da National iranian oil company (Nioc) e il colosso russo Gazprom, che collaborerà con Nioc nello sviluppo dei giacimenti di gas di Kish e North Pars e anche di sei giacimenti petroliferi. Gazprom sarà inoltre coinvolta nel completamento di progetti di gas naturale liquefatto (Gnl) e nella costruzione di gasdotti per l’esportazione.
I più smaliziati analisti di geopolitica suggeriscono di stare bene attenti al body language dei vertici, perché difficilmente sbaglia. Ritardo a parte, i video e le foto immortalano i tre leader vicini, sorridenti, mano nella mano. Restano le divergenze sul fronte siriano. Morale del vertice: le divergenze restano ma per tutti e tre per ora è più importante rinsaldare l’alleanza. La necessità fa la forza. E intanto, Putin ha reclutato l’Iran nell’asse anti-Nato. Quanto a Erdogan, lui tiene il piede in due staffe. Con il beneplacito, per quanto stirato, di Biden e di Putin.
© Riproduzione riservata