Sulla prima pagina de Il Fatto quotidiano di venerdì, una vignetta ha attirato l’attenzione di tanti: c’è un bel ritratto a carboncino del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con mani grandi in primo piano e con tre frasi “ho scelto il meglio”, “nessun dubbio nessuna incertezza” e “NEANCHE UN LEGGERO SENSO DI GOLPE …?”. Proprio così con le maiuscole e le minuscole, come riportate! A parere di tanti, la vignetta travalica i confini della satira e attribuisce al presidente della Repubblica un fatto preciso: essere l’ideatore di un colpo di Stato, per avere scelto di non affidare l’incarico di formare il Governo al professore gradito al Fatto quotidiano e avergli preferito Mario Draghi.

La satira è forse il migliore e più efficace esercizio del diritto di critica politica. L’irriverenza dell’espressione satirica giunge al centro dell’elemento criticato e ne mette a nudo le contraddizioni più intime. La satira stimola la capacità intuitiva del lettore, molto più di quella razionale e consente di giungere ad una consapevolezza istantanea e spesso definitiva. Personalmente, ho sempre amato la satira, anche quando non ne condividevo l’oggetto, né gli obiettivi politici. Un motto anarchico di fine ‘800, poi ripreso nel sessantotto, recitava più o meno così “La fantasia distruggerà il potere e una risata vi seppellirà!”. La satira è “laicamente sacra”, per chiunque si ispiri ai valori etici del liberalismo e ami la libertà sopra ogni cosa. Fatta questa doverosa premessa, voglio soffermarmi su un interrogativo che ha alimentato numerose polemiche nella cronaca politica italiana. Cosa è possibile considerare satira? Quali sono i tratti distintivi della satira?

Se badiamo a quanto emerge dall’applicazione del Diritto, la satira, soprattutto quella vignettistica, potrebbe essere definita come una particolare rappresentazione paradossale della realtà, che può essere molto critica politicamente senza però attribuire fatti determinati, lesivi per il soggetto raffigurato. Tutto ciò che non rientra nel perimetro sopra indicato, potrebbe essere ritenuto censurabile sotto il profilo penale e, integrare, fattispecie di reato, soprattutto il reato di diffamazione, previsto dall’art. 595 c.p. La satira in Italia è stata soprattutto satira vignettistica, sempre collocata nella prima pagina di quotidiani blasonati, mentre quella televisiva è stata limitata a pochi programmi, spesso relegati a programmazione notturna.

Sulla stampa italiana, il più celebre vignettista satirico è certamente Giorgio Forattini, che nonostante l’estrema ricercatezza e raffinatezza dei suoi disegni, ha subito la censura giudiziaria per avere dedicato vignette al magistrato Giancarlo Caselli e a Massimo D’Alema, per fare due celebri esempi. La diffamazione è un reato procedibile a querela, stabilisce l’art. 597, cioè serve una specifica richiesta di punizione che soltanto il soggetto “diffamato” può avanzare all’autorità giudiziaria. Vi sono però dei reati per i quali la procedibilità è d’ufficio, cioè non serve che la persona offesa proponga querela. Sono reati particolarmente gravi che ledono oltre che la persona offesa anche un interesse pubblicistico. Nel caso in cui i soggetti ritratti dalle vignette siano politici, i confini della satira sono stati spesso allargati – ed è giusto così – per evitare che la rigida definizione codicistica del reato possa essere motivo di restrizione del diritto di critica politica.

Il più delle volte, però, i politici italiani hanno sempre ben tollerato di essere oggetto di satira, alcuni anzi, hanno persino beneficiato della rappresentazione grottesca che ne hanno fatto vari disegnatori e autori satirici. Basti pensare alle celebri maschere di Maurizio Crozza e alla celebrità che hanno regalato a molti soggetti, spesso di secondo piano della politica italiana, uno su tutti: l’ex senatore Antonio Razzi. Torniamo alla vignetta del Fatto Quotidiano, il bel ritratto non ha nulla di caricaturale, anzi il tratto risulta delicato e artisticamente pregevole, non c’è la raffigurazione di alcun paradosso e si riferisce indiscutibilmente ad un fatto determinato: l’indicazione di Mario Draghi come presidente del Consiglio incaricato.

Ma dicevamo che a parere di tanti, la vignetta travalica i confini della satira e, parlando di un golpe del capo dello Stato, fa un’affermazione che sarebbe penalmente rilevante qualunque fosse il soggetto passivo del reato, perché integrante gli estremi del reato di diffamazione, per il quale risulterebbe difficile configurare la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto di critica o di satira politica. Nel caso, essendo indirizzata al Capo dello Stato, integrerebbe il reato previsto dall’art. 278 c.p. «offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica», che non necessita della querela di parte, ma è perseguibile d’ufficio. Non resta che aspettare, perché tra i lettori de Il Fatto Quotidiano certamente vi sarà qualche pm che lo farà.