Dovrà accontentarsi dei circa 7mila euro riconosciutigli dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: poca roba rispetto ai cinque milioni di risarcimento che puntava a incassare dal Corriere di Caserta, il giornale dal quale si era sentito diffamato nel 2001. Però Vincenzo Petrella una soddisfazione se l’è presa: far condannare lo Stato italiano per l’inerzia della Procura di Salerno che, in cinque anni e sei mesi, non ha condotto alcuna attività investigativa impedendo all’avvocato ed ex presidente della squadra di calcio della Casertana di costituirsi parte civile nel processo contro i giornalisti. Fatti che confermano quanto la giustizia lumaca sia dannosa non solo per l’economia, ma anche per i diritti di tutti i cittadini e per quel poco di credibilità che resta alla classe dei magistrati.

E allora riannodiamo i fili della vicenda. È il 28 luglio del 2001 quando Petrella querela il Corriere di Caserta ritenendosi diffamato da una serie di articoli in cui viene tacciato di frode e corruzione con riferimento a un’operazione immobiliare per la quale non risulterà mai nemmeno indagato. L’allora patron della Casertana sporge querela per diffamazione, a occuparsene è la Procura di Salerno. Petrella è certo di ottenere il rinvio a giudizio dei giornalisti, presupposto indispensabile per costituirsi parte civile nel successivo processo penale e chiedere così un maxi-risarcimento da cinque milioni di euro. Sennonché passano giorni, mesi e anni e da Salerno non trapela alcunché. Petrella non viene sentito dai pm né ha notizia di qualche svolta nelle indagini. Sulla vicenda, alla fine, si abbatte la prescrizione e la vicenda giudiziaria si conclude con un nulla di fatto. Sono passati cinque anni e sei mesi: un lasso di tempo in cui la Procura non ha svolto alcuna attività investigativa e che di fatto impedisce all’ormai ex presidente della Casertana di chiedere il risarcimento.

A quel punto – siamo nel giugno del 2007 – Petrella, assistito dall’avvocato Alfredo Imparato, ricorre alla Corte di Strasburgo che, dopo altri 14 anni, condanna l’Italia a versargli 5mila e 200 euro di danni morali e altri 2mila di spese legali. Il motivo è presto detto: la «condotta negligente delle autorità italiane». Secondo i giudici europei, infatti, le indagini preliminari hanno «violato il requisito della ragionevole durata delle indagini» per un caso, tra l’altro, «non particolarmente complesso». Insomma, in cinque anni e sei mesi «non è stata condotta alcuna attività investigativa» da parte dei pm salernitani, con la conseguenza che è stato violato il diritto di Petrella a ottenere una decisione dei magistrati sulla richiesta di risarcimento. Conclusioni tanto clamorose quanto comprensibili sulle quali, tuttavia, all’interno della Corte di Strasburgo non c’è unanimità: cinque giudici votano a favore di questa sentenza, due si oppongono e tra questi ultimi c’è anche una toga italiana…

A ogni modo la decisione sul caso Petrella è destinata a rimanere negli annali delle peggiori performance della magistratura del nostro Paese, ma anche a diventare una pietra miliare del diritto: «La Corte europea – commenta l’ex presidente della Casertana – ha ricordato che le indagini devono essere effettive: un principio di cui le Procure italiane dovranno tenere conto». Tradotto: i magistrati devono agire rapidamente e correttamente, altrimenti la giustizia lumaca italiana continuerà a devastare vite, carriere, diritti ed economia. Chissà se adesso cambierà qualcosa.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.