Il silenzio delle istituzioni
Violenze di gruppo a Capodanno, cosa è successo in Piazza Duomo a Milano
Sarebbe bello poter applicare la “cura Cartabia” per Milano, la città italiana più europea e da sempre con l’orgoglio da prima della classe, ancora stressata e sconvolta per la ferita di capodanno in piazza Duomo. Sarebbe bello poter applicare da subito la giustizia riparativa, e far prevalere la concordia sul conflitto, la conciliazione sulla vendetta. Sarebbe bello, ma per ora impossibile. Perché nove donne aggredite e violate dal branco nella notte dei divertimenti e della speranza di un futuro immediato migliore, con le forze di polizia ammutolite, distratte e impotenti sono una ferita difficile da sanare. Perché è successo nel centro di Milano, come nella notte che separava il 2015 dal 2016 a Colonia e poi più volte a Parigi, e sembrava roba che non ci riguardasse, problemi da banlieu con i suoi francesi immigrati di seconda e terza generazione.
Milano si è svegliata con problemi giganteschi, se il sindaco Beppe Sala ha atteso ben undici giorni prima di prenderne atto e mettere la faccia nei nostri televisori per chiedere scusa e annunciare la costituzione di parte civile del Comune nei futuri eventuali processi. Ma questo è il futuro, mentre il presente è che per dieci giorni, dal sindaco al prefetto al questore, tutti sembravano ammutoliti, impotenti. A queste ragazze è successo qualcosa di spaventoso: accerchiate da gruppi di giovinastri sovreccitati e violenti, strattonate, quasi spogliate nonostante il freddo e i piumini, palpeggiate, le loro lacrime, le loro grida irrise. E non si può neanche suggerire loro, la prossima volta, di non avventurarsi la notte nelle strade deserte. Il tutto è successo in mezzo a una folla persino eccessiva, in tempi di pandemia, nella città in cui la giunta di sinistra ha sempre fatto vanto di essere prima nell’accoglienza e tradizionalmente nella politica sociale. E proprio qui nel milanese, a Vimodrone, due giorni fa è arrivata la ministra Marta Cartabia.
Con ancora nelle orecchie l’eco di quel che era successo, è venuta ad ascoltare una storia bella, edificante, quella di Daniel Zaccaro, ex ragazzo di Quarto Oggiaro, adolescenza segnata dal carcere, uno di “quelli lì”, un po’ come quelli delle violenze di piazza Duomo. Daniel è diventato il protagonista di un libro, scritto da Andrea Franzoso, dal titolo Era un bullo. Uno di quelli che l’hanno salvato –ma sono in tanti, dagli educatori agli agenti di polizia penitenziaria- è don Claudio Burgio, uno che ha fatto esperienza come cappellano a San Vittore e al minorile Beccaria, e che l’ha seguito per sette anni. Sette anni difficili e a volte turbolenti. Ma ce l’hanno fatta. Ce l’ha fatta. Oggi Daniel è un educatore e aiuta gli altri a superare lo stereotipo del quartiere-ghetto, ragazzi spesso rassegnati a un destino che pare segnare non solo quelli appena arrivati dai Paesi del nord Africa, ma anche quelli di seconda generazione. In piazza Duomo c’erano gli uni e gli altri . E sarebbe una bella sconfitta politica dover ammettere che l’accoglienza non si è trasformata in integrazione.
La “cura Cartabia” ha al centro l’articolo 27 della Costituzione, e non è un paradosso, piuttosto una sfida ricordarlo proprio ora, nel momento in cui in consiglio comunale a Milano le opposizioni chiedono le dimissioni dell’assessore alla sicurezza e tanti cittadini si fanno vivi anche con il sindaco per chiedere un intervento più energico anche della polizia locale, in centro come nei quartieri. Ci sono problemi di uso e abuso di alcool e di sostanze psicotrope, ma anche di tanti ragazzi che ciondolano dalla mattina alla sera davanti ai bar e quando passa una ragazza si comportano subito da branco. C’è un autobus che fa un percorso circolare, la 90-91, dove nessuna donna si avventurerebbe mai da sola. E il timore oggi è che lo choc di capodanno possa sfociare in intolleranza se non in razzismo. Anche per questo adesso la magistratura sta correndo ai ripari, e lunedì notte, dopo aver visionato una serie di immagini postate sui social, la procura ha firmato il decreto che ha portato alle diciotto perquisizioni, all’individuazione di alcuni partecipanti al branco e infine ieri al fermo di due di loro.
I reati di cui saranno accusati sono gravissimi, e vanno dallo stupro di gruppo alla rapina. Ed è qui che dovrebbe venire in soccorso la “cura Cartabia”. Perché il loro destino sarà segnato dal carcere, e non sarà una detenzione facile, vista la tipologia dei reati di cui dovranno rispondere. Per i minorenni si apriranno percorsi rieducativi, e si spera anche per i giovani adulti. È difficile dirlo oggi, con la ferita ancora aperta, ma proprio dieci giorni fa, mentre accoglieva a Venezia le delegazioni straniere convenute alla prima Conferenza dei ministri di giustizia del Consiglio d’Europa, la guardasigilli aveva parlato di “giustizia riparativa”. Non come “strumento di clemenza”, ma come “giustizia che aiuta il trasgressore ad assumersi la sua responsabilità nei confronti della vittima e nei confronti della comunità, attraverso l’incontro e il dialogo”. Chiediamo pure più polizia e maggiore sicurezza a Milano, adesso. Ma se non sapremo ricucire dopo, ci saranno tante violenze “di capodanno”, temiamo.
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