La mattanza di Santa Maria Capua Vetere
Violenze in carcere, l’aggressione agli agenti fu tentativo di depistaggio
Nessuna aggressione da parte dei detenuti. È questa la conclusione a cui è giunta la Procura di Santa Maria Capua Vetere che ha chiesto l’archiviazione dell’indagine nata dalla denuncia, presentata da una ventina di agenti della polizia penitenziaria, contro quattordici detenuti del reparto Nilo, quelli messi in isolamento dopo il 6 aprile 2020 e dai quali partì l’inchiesta sui pestaggi che ha portato invece gli agenti davanti al giudice dell’udienza preliminare che dovrà decidere sul processo.
Tra questi c’era anche Lakimi Hamine, il detenuto algerino morto in cella il 4 maggio 2020, un mese dopo il brutale pestaggio e per la cui morte ora ci sono agenti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria sotto accusa. Sulla richiesta di archiviazione deciderà il gip, e se accolta sarà una ulteriore conferma al fatto che nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere l’unica violenza consumata fu quella commessa dagli agenti contro i detenuti. C’è il sospetto, infatti, che alcuni agenti della penitenziaria abbiano tentato di depistare l’inchiesta sui pestaggi del 6 aprile, provando a far cadere di aver reagito per difesa. La sera prima del 6 aprile c’era stata una piccola rivolta nel reparto Nilo, alcuni detenuti avevano mezzo i materassi all’ingresso chiedendo tamponi e mascherine dopo la notizia dei primi contagi in carcere. La pandemia era appena esplosa e il clima era ovunque molto teso. Ma quella rivolta non sfociò in violenza, rientrò presto.
Le indagini, che ora la Procura vuole concludere con un’archiviazione, hanno dimostrato che non ci furono agenti aggrediti, non taniche di olio bollente e coltelli pronti per essere usati contro gli uomini in divisa come qualcuno aveva provato a far credere, e non ci furono aggrediti tra la polizia penitenziaria nemmeno il giorno dopo, quando scattò la «mattanza». «Potrebbe definirsi un depistaggio di Stato come mattanza di Stato è stata la spedizione del 6 aprile nel reparto Nilo – ha commentato il garante regionale Samuele Ciambriello – Tra i quattordici detenuti, inizialmente sospettati di aver aggredito gli agenti, c’erano sette di coloro che furono messi subito in isolamento dopo le botte e che al telefono mi raccontarono per primi quello che era accaduto e che avevano subìto». L’11 gennaio riprenderà l’udienza preliminare sul giorno della mattanza. Centootto imputati, centosettantotto detenuti parti lese, oltre trecento avvocati tra difesa e parti civili. Un’udienza dai grandi numeri, un caso più unico che raro nel panorama della giustizia napoletana.
Gli oltre cento fra agenti e funzionari della polizia e dell’amministrazione penitenziaria dovranno rispondere, a vario titolo, dei reati di tortura, abuso di autorità alle lesioni, falso in atto pubblico, cooperazione nell’omicidio del detenuto Lakimi Hamine, finito in isolamento e trovato morto in cella a un mese dai pestaggi. Cinquantasei fra i detenuti che il 6 aprile 2020 subirono i pestaggi hanno chiesto di costituirsi parte civile. Stessa richiesta è stata avanzata, oltre che dal garante campano e da quello nazionale, anche da associazioni come Antigone, Il Carcere possibile, e altre che operano in difesa dei diritti dei detenuti. Un caso giudiziario che ha segnato profondamente la storia del sistema penitenziario non solo campano, ma nazionale.
A giugno scorso ci fu la svolta investigativa con i capi di imputazione definiti per ciascun indagato e le misure cautelari, a luglio la ministra della Giustizia Marta Cartabia e il presidente del Consiglio Mario Draghi si recarono di persona nel carcere di Santa Maria Capua Vetere per osservare la realtà in cui erano accaduti i pestaggi. E il caso ha fatto venire alla luce non solo le singole eventuali responsabilità di chi ha commesso o ordinato i pestaggi, ma le criticità di un intero sistema ormai al collasso.
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